31 agosto 2017

Everything now degli Arcade fire, disco da buttare o colpo di genio?

Ho aspettato un bel po' di tempo prima di scrivere questa recensione, poiché la mia reazione nei confronti di Everything now, album degli Arcade fire uscito a inizio estate per Sonovox / Columbia, era da subito ben diversa rispetto a ciò che leggevo in giro all'uscita del disco. Ho ascoltato e riascoltato l'album durante tutta l'estate. Pur essendo rimasto colpito già dal primo impatto, mi accorgevo che ad ogni ascolto mi appassionavo sempre più ai brani e al modo in cui sono stati scritti, suonati, interpretati, arrangiati, prodotti. A mio parere questo Everything now è un disco speciale ed è stata una delle più belle sorprese (finora) di questo 2017, eppure sono cosciente che intorno a me molti non la pensano così.
Cos'è che mi ha colpito così tanto di questo disco? Innanzitutto c'entra sicuramente una predilezione personale: adoro i dischi che raggiungono quel limite che sta tra il "prodotto come si deve" e l'"iperprodotto". E questo è proprio uno di quei dischi che gioca sul filo del fuorigioco ma senza farsi mai beccare in fallo dall'arbitro (per strizzare l'occhio all'attualità potremmo dire che neanche il VAR troverebbe qualche fallo nel modo in cui Arcade fire e collaboratori hanno realizzato il disco). Impossibile fare mosse sbagliate quando i produttori sono Thomas Bangalter dei Daft punk e Steve Mackey dei Pulp, ai quali si affianca lo storico collaboratore degli Arcade Fire Markus Dravs, più altri produttori aggiuntivi tra cui Geoff Barrow dei Portishead. I nomi coinvolti lasciano presagire la piega che prenderà l'album. E così, se il primo singolo, Everything now, fa pensare a una deriva europop che cita addirittura gli ABBA (sarà questo che sconvolge la critica? Gli Arcade fire che giocano con la musica da supermercato?), non si può negare che il brano funzioni decisamente bene all'interno del clima tardo-primaverile in cui è stato rilasciato. E' un brano solare, che nasconde solo una puntina di malinconia, e saranno le parole della canzone a farci capire in che modo dev'essere interpretata questa nuova strada musicale del gruppo. I testi sono un po' il pezzo forte del disco. Ispiratissimi, a volte trattano di argomenti davvero delicati, e lo fanno in un modo che colpisce e lascia spiazzati. E' il caso di Creature comfort, brano il cui testo in modalità "call and response" appare per scelta anche nel videoclip. Ecco, Creature comfort è il pezzo dell'album che mi ha letteralmente devastato (in positivo). Qui si vede il perché del bassista dei Pulp tra i produttori. L'irrequietezza, la nevrosi, la "botta" data dal testo, che vengono rese in musica con un'elettronica dal sapore retrò e con Win Butler che gioca con la metrica di un testo quasi recitato, come avrebbe fatto vent'anni fa Jarvis Cocker dei Pulp, mentre sullo sfondo (anche del video) se ne sta Régine Chassagne nel suo nuovo ruolo di dea della disco music. Creature comfort è un po' il brano che porta su di sé l'attitudine del nuovo disco: chi apprezza un pezzo del genere sicuramente ama tutti i riferimenti che il brano porta in sé, e viceversa. Il resto dell'album gioca su questi toni. Motivo per cui personalmente impazzisco per brani quali Electric blue, vero momento di gloria per Régine Chassagne, che se la gioca con Sprawl II (Mountains Beyond Mountains), contenuto nell'album The Suburbs. Ecco, la triade Creature comfort - Electric blue - Everything now è tra le cose migliori che gli Arcade fire abbiano tirato fuori finora. Il resto del nuovo disco gioca su una formula provata da molti ma portata al successo solo da pochi (e non in tempi recenti): brani pop rock con un po' di elettronica ma molto "suonati" anziché fatti al computer, ritmiche funky, ambientazioni da disco music nevrotica per messaggi importanti e anche dolorosi (a costo di ripetermi, ma Win Butler che canta dell'amica che tenta il suicidio nella vasca da bagno mentre ascolta il primo album della band stessa in Creature comfort è stata un discreta botta). Per questo non sono certo da buttar via brani più sottili quali Good god damn, che si sostiene quasi esclusivamente con la sua linea di basso, giocando su un terreno sul quale altri si sono avventurati (ma mai con grandissimi esiti) negli anni '80, perché con un brano così (apparentemente) scarno difficilmente ci si fa il singolone. Eppure suona bene, e parecchio. La stessa ricerca di un giusto equilibrio tra il pop "suonato", da fine anni '70 e inizio '80, e l'elettronica di oggi, porta a canzoni come Put your money on me e We don't deserve love, che sono ottimi brani, ma denotano finezze che possono sembrare un passo indietro rispetto al linguaggio musicale più viscerale (ammesso che lo fosse veramente) di album quali Neon Bible o The Suburbs. Poi ci son brani che giocano con gli eccessi da entrambe le parti: la virata decisa verso la disco music retrò con Signs of life, oppure Infinite content e la sua quasi gemella Infinite_Content che giocano tra l'hardcore e il country alternativo. Lo stratagemma dell'"underscore" porta anche a differenziare l'intro dell'album, Everything_Now (continued) dal finale, Everything now (continued). Peter Pan, un po' esotica e caraibica, è il brano che più di altri mostra continuità con l'album precedente, mentre Chemistry è forse il pezzo che può lasciare un po' perplessi, più che altro per il cantato dimesso, che sembra mostrarsi poco convinto in merito a quanto recitato nel testo, una sorta di storia a tre forse più immaginata che reale, in un brano probabilmente anche un po' troppo lungo. Eppure anche questa canzone ha la sua forza: nello stesso brano coesistono ritmi caraibici e riff da dance rock. Se il brano fosse virato più sul rock, col cantato più convinto, si sarebbe persa un po' di credibilità: spesso accade che gli Arcade fire risultino più convincenti quando si prendono meno sul serio e inseriscono un tocco giocoso o naif nei propri brani. Quanto esposto finora fa pensare ad una band che ha pienamente trovato la giusta misura. Sarà per questo che non mi sono ancora stufato di ascoltare questo Everything now. Chi non ha capito, chi non riesce a legare con questo disco, probabilmente è ancorato nei suoi pluridecennali riferimenti post-punk e new wave, ma nell'oscurità della sua cameretta purtroppo non sono arrivati altri influssi, altre contaminazioni, che potessero essere riconosciute valide o meritevoli di ascolto. Peccato, perché ascoltato da orecchie aperte questo nuovo lavoro degli Arcade fire è interessante quanto i precedenti, anzi, si tratta davvero di un disco speciale. Marco Maresca

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