25 maggio 2017

Verso l'infinito ed oltre: i Valerian Swing tornano ed osano con Nights (recensione + intervista)

E’ una costante evoluzione sonora quella che stanno mettendo in atto i Valerian Swing, gruppo emiliano giunto con Nights al quarto album (anche se, ahimè, mi sono perso il primo). Se infatti A sailor lost around the earth del 2011 era un disco che faceva dei cambi di tempo e delle ritmiche serrate il proprio punto di forza, arrivando fino a compiacersi troppo della propria attitudine a ‘farlo strano’, ed Aurora del 2014 apriva in maniera più decisa il sound della band ad atmosfere più dilatate, questo nuovo disco sembra andare al di là dei canoni del math rock, un genere che già la band affrontava alla sua maniera personale ma che mai come oggi si arricchisce di nuove sfumature.

Nelle dinamiche sonore di Nights ha sicuramente pesato l’uscita dalla band del bassista Alan in luogo di Francesco Giovannetti alla chitarra baritona, un avvicendamento che, come spiegano approfonditamente nell’intervista che trovato in fondo all’articolo, ha dato modo a Steve, chitarra storica del gruppo, di sbizzarrirsi nel trovare nuove soluzioni sonore. Particolarmente sul fronte dell’elettronica Nights è un disco che osa molto di più, ed un brano come Three keys ne è l’esempio più lampante: un’atmosfera sognante ed onirica creata solamente coi synth, senza che nessun altro strumento arrivi a metterci lo zampino. Personalmente preferisco il modo in cui nella conclusiva Eight dawns quest’anima si amalgama con gli strumenti ‘classici’ della band, con un David alla batteria che si limita alle sfumature, la chitarra di Steve che abbellisce armonicamente il tutto e Francesco che si occupa di donare alla traccia la potenza distorta laddove serve, ma è innegabile che questa maggiore propensione ad un suono atmosferico proietta la band verso un territorio inesplorato che li rende ancora più particolari e difficilmente incasellabili.
Non mancano certo momenti di potenza sonora invidiabile e già l’iniziale A leaf ne dà dimostrazione, tanto durante gli stacchi serrati, in cui esce tutta la bravura della band a viaggiare all’unisono, quanto nei momenti in cui la chitarra di Steve tira fuori il primo di tanti riff che ti si stampano subito in testa: è un sali-scendi continuo questo brano d’apertura, perfetto nei suoi momenti più intensi per essere usata come apertura di un concerto (segnatevi il suggerimento ragazzi!). Dove i Valerian Swing tirano veramente fuori i muscoli però è in Four horses, traccia che dà dimostrazione di quanto gli incroci fra le chitarre siano efficaci nel sound della band e che riesce a sopperire a livello di frequenze alla mancanza del basso. Una corsa continua fra riff che si ripetono e mutano, fra rallentamenti e crescite perfette che hanno tutto il tempo di farsi apprezzare fino alla naturale esplosione: forse il brano che più ricorda i ‘vecchi’ Valerian Swing, e che gran sentire!
Sono brani come Two ships e Five walls a coniugare invece al meglio le due anime della band, amalgamando ottimamente momenti di relax sintetico ed incroci strumentali più tipicamente math, e nella seconda funziona egregiamente anche la voce ultra riverberata di Steve che, nella quasi indecifrabilità delle parole dovuta agli effetti, si pone al livello di uno strumento ulteriore. Six feet e Seven cliffs, pur non disdegnando massicce intrusioni dei synth, puntano più sulla potenza e, anche se non portano al godimento provato con la già citata Four horses, rappresentano momenti in cui tenere ferma la testa è quasi impossibile: ne è un esempio il ritmo batteristico danzereccio che accenna David verso l’inizio della sesta traccia, e che sembra apparentare la band ai lussemburghesi Mutiny On The Bounty ben più di quanto non faccia il semplice fatto che entrambi sono distribuiti sul mercato inglese dall’etichetta Small Pond.

Verso l’infinito ed oltre: i Valerian Swing espandono ma non rinnegano, cambiano gli elementi ma senza perdere il loro modo caratteristico di fare musica. Aurora era probabilmente  un album più compatto, che osava in territori meno ampi, Nights è invece un salto verso qualcosa d’altro che riesce molto bene e getta le basi per ulteriori evoluzioni. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. A leaf
2. Two ships
3. Three keys
4. Four horses
5. Five walls
6. Six feet
7. Seven cliffs
8. Eight dawns

Intervista ai Valerian Swing

Prima del loro live al Circolo Gagarin di Busto Arsizio incontro David, Steve e Francesco per scambiare quattro chiacchiere, fra date all'estero, novità sonore e riff persi da Kirk Hammett.

Siete appena tornati dall’ennesimo tour europeo, com’è andata e quale accoglienza avete trovato?

E’ andato molto bene, sia dal punto di vista quantitativo che dell’attenzione rispetto alla nostra musica. Possiamo dire che, dopo aver già solcato altre volte palchi al di fuori dell’Italia, stiamo raccogliendo quanto seminato in precedenza, ed è la cosa che ci dà più soddisfazione.

Con Nights mi sembra che abbiate fatto vostro il motto ‘squadra che vince non si cambia’ dal punto di vista della produzione e della distribuzione.

Questa volta volevamo far uscire il disco il prima possibile per poter tornare subito a suonare, rispetto a quanto fatto con gli altri dischi per cui serviva del tempo anche solo per cercare un’etichetta. Siamo entrati in studio a febbraio, registrando le batterie in uno studio a Gattaco, vicino Reggio Emilia, e chitarre, voci e synth a Bologna, sempre col nostro fonico storico Raffaele Marchetti,  poi Matt Bayles lo ha mixato come per i precedenti due lavori nel suo studio a Seattle in soli tre giorni. Con Small Pond Records in Inghilterra ci eravamo trovati benissimo col disco vecchio, loro sono cresciuti molto in questo periodo e ci è sembrato naturale continuare la collaborazione, così come con Luca di To Lose La Track che conosciamo ormai da anni.

E’ cambiato qualcosa all’interno della formazione invece rispetto agli ultimi anni, vista la fuoriuscita di Alan dalla band e l’entrata di Francesco (già nei Rifkin Kazan) alla chitarra baritona. E’ un cambio che mi sembra sia stato assorbito in fretta vista la velocità con cui avete registrato Nights.

Alcuni brani ce li portavamo dietro da un anno, ma è stato da settembre a dicembre che ci siamo chiusi in sala per dare una forma definitiva al disco. Anche il cambio di strumentazione, dal basso alla seconda chitarra, ci ha aperto un ventaglio di nuove possibilità lasciando spazio a Steve di sperimentare molto con l’elettronica.

Che ruolo ha avuto Francesco nella stesura dei pezzi?

Lui è arrivato quando era ancora in corso il tour di Aurora, ma nel momento in cui si è parlato di scrivere pezzi nuovi c’era già l’idea di esplorare nuovi territori a livello di suoni, con meno stacchi serrati ed atmosfere più dilatate. E’ stato per tutti piuttosto naturale seguire quest’onda sonora, ed il suo contributo specifico lo si può notare soprattutto nell’aggiunta di alcune parti di synth o nella ricerca di melodie un po’ diverse dal solito, pur cercando di mantenere l’impronta caratteristica della band. Il disco è fondamentalmente il risultato di un flusso di coscienza collettivo in cui è difficile dire chi abbia messo più di qualcun altro, nessuno arriva portando un pezzo completo ma solo idee e riff che poi vengono amalgamati in sala prove. L’importante quando si suona assieme è avere stima del gusto musicale delle altre persone coinvolte nel progetto, perché questo fa in modo che la maggior parte delle idee trovano l’approvazione generale e rimane solo da smussare gli angoli per capire come farle funzionare al meglio all’interno di un pezzo. L’ultimo brano del disco è un’improvvisazione nata in sala prove e fortunatamente registrata col cellulare, abbiamo cercato di ricrearla in sala di registrazione, riuscendoci solo in parte, ma dà l’idea di quello che è l’alchimia che si è creata fra di noi: avessimo perso il cellulare come Kirk Hammett probabilmente l’album sarebbe stato di soli sette brani!

Anche per questo disco avete deciso per una distribuzione in free download, come mai?

Siamo convinti che se qualcuno vuole comprarti una copia fisica del disco lo farà indipendentemente dal pagare o meno per ascoltarlo in digitale. Con l’esplosione dei servizi di streaming come Spotify od iTunes è anche anacronistico mettere i brani in digitale a pagamento, senza contare che un download gratuito permette di arrivare a persone che lo ascoltano anche solo per curiosità: su Bandcamp comunque la formula è del ‘Pay as you want’, qualcuno che ci sovvenziona comunque nonostante abbia la possibilità di non farlo e sono soldi che arrivano direttamente a noi senza passare dalle percentuali di guadagno ridicole che hanno i servizi di streaming già menzionati.

I brani hanno dei titoli che seguono la numerazione progressiva all’interno del disco (‘A leaf’, ‘Two ships’ e così via): c’è un motivo particolare dietro a questa scelta?

Ci siamo trovati una sera a casa di Steve, col disco ormai pronto e solo da mandare in stampa, ed abbiamo cominciato a ragionare sulla copertina e sul concept con cui legare i vari brani. Abbiamo pensato ad un titolo che ci piacesse e dal quale trarre un immaginario che fosse evocativo delle nostre sensazioni mentre lo scrivevamo: complice la zona in cui abitiamo, caratterizzata da nebbia e grandi spazi aperti di campagna, in cui è facile ritrovarsi a passare intere nottate a suonare in sala prove, ed il sound più notturno e ‘fumoso’ che è scaturito dalle registrazioni, Nights ci è sembrato un titolo assolutamente adatto. I titoli sono poi stati scelti come fossero degli elementi del quadro generale, per cui non possiamo dire che ci sia una vera e propria idea specifica dietro al nome dei singoli brani, che sono piuttosto una serie di immagini evocative di quello che era il concept generale. Anche la copertina, realizzata da Luca Zamoc, si lega perfettamente a tutto questo discorso,con l’idra e la costellazione a farle da contorno: un disegno minimale ma che rappresenta bene la nostra idea iniziale.

La scena della vostra zona continua ad essere molto florida ed unita, un esempio concreto di come il supporto reciproco fra le band possa essere un modo per emergere al di là delle differenze di genere musicale. Ci potete dire qualcosa al riguardo?

Fra Reggio Emilia, Correggio e Modena ci sono veramente tanti gruppi, e di tutti i generi. Forse non c’è un filo conduttore sonoro che lega tutte queste band ma l’interesse per la musica dal vivo è alto, ora sembra ci siano meno ragazzi che suonano rispetto a quando abbiamo iniziato noi ma il panorama rimane comunque interessante. Il nostro fonico con la sua associazione ha organizzato per cinque anni un festival al Lato B, la storica sala prove di Finale Emilia, iniziato con lo scopo di trovare fondi per ristrutturarla dopo il terremoto che ha colpito la nostra zona ed andato avanti sempre con scopi benefici, diventando nel frattempo un evento sempre più grande: tutte le band che suonavano in quelle occasioni lo facevano con lo stesso spirito dell’organizzazione e questo dà meglio di molti altri esempi la prova di una forte compatibilità a livello umano.

Cosa bolle in pentola per il futuro? L’estate sarà prolifica a livello di live?

Quest’estate ci concentreremo sull’Italia, ci sono già alcune date fissate fra giugno e luglio che annunceremo a breve. A fine ottobre torneremo di nuovo in Europa per un paio di settimane, toccando Inghilterra, Germania e Danimarca fra le altre, ed in seguito ci sono progetti asiatici che speriamo si concretizzino…incrociamo le dita!

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