12 febbraio 2017

Australia-Italia, il Winter journey di Julitha Ryan fra pop e psichedelia

C’è un incontro fra molti mondi nella musica di Julitha Ryan: quello fra l’Australia, terra d’origine della songwriter, e l’Italia, grazie alla presenza di collaboratori d’eccezione in fase di realizzazione e produzione provenienti da varie band nostrane, fra cui spiccano il co-produttore Giovanni Calella (Adam Carpet e Kalweit And The Spokes fra i suoi crediti) ed i membri dei Guignol Pier Adduce ed Enrico Berton; quello fra diverse influenze musicali, fluttuando morbidamente il disco fra folk, atmosfere psichedeliche da fine anni 60 ed un retrogusto pop che rende il tutto più leggero; quello, infine, fra il piano e la voce caratteristica di Julitha con gli altri strumenti, in un disco che non si fa mancare elementi “accessori” che ampliano il suo orizzonte.

Bastano pochi brani per rendersi conto di quanto a Julitha piaccia svariare fra le influenze, e se il singolo Bonfire mette in evidenza la matrice pop che si fa apprezzare qua e là (ben evidenziata dai cori in sottofondo) ed una luminosità di fondo che raramente si adombra, ben di più viene svelato dalla seguente traccia, Like a jail: qui il ritmo si fa più frenetico, in un connubio lisergico che pesca dalla psichedelica ma altrettanto dal funky, apparendo come un piacevolissimo scontro fra una colonna sonora da film poliziesco e l’ariosità di certe atmosfere sixties, rievocate grazie anche a suoni vintage piacevoli ed avvolgenti.
Alternando brani più elettrici (Something’s gotta give, pacata ma giocata sulla chitarra elettrica che centellina note di grande impatto emotivo) a momenti intimistici più marcati (Woman walks her cat) Julitha svolge un percorso musicale lungo otto canzoni che ha l’unico difetto di compiacersi eccessivamente. Per una Big brass bell che riesce a mantenersi interessante lungo tutti i cinque abbondanti minuti di durata, alternando efficacemente i vari strumenti davanti ai riflettori (plauso in particolare all’organo, ed ai fiati che compaiono da metà brano) bisogna fare i conti con una Woman walks her cat che invece non riesce a crescere efficacemente, ed appare da questo punto di vista ancora più eccessiva la lunghissima traccia finale There is no turning back, a cui non basta rivestirsi di riverberi ed atmosfere dilatate per risultare qualcosa più di un accompagnamento lisergico alla fine dell’ascolto. E’ come se Julitha esagerasse nel recitare i suoi testi come mantra, ricordandosi solo a tratti di dare sterzate musicali che avvalorino le sue particolari doti vocali: un esempio felice da questo punto di vista è rappresentato da Zeehan, che abbina ad un raffinato arrangiamento (prerogativa questa di tutti i brani) un improvvisa iniezione d’epicità a metà brano, ed è efficace pur nella sua brevità anche la parentesi strumentale di Memento, struggente nelle sue atmosfere jazz che combinano agli accordi del piano ora i fiati, ora la chitarra elettrica, ora un coro quasi gospel.

Rivedibile solo nella sua tendenza a rimirarsi troppo allo specchio in alcuni frangenti, The winter journey è a conti fatti un album godibile, vario e pieno zeppo di finezze musicali che testimoniano della cura con cui è stato composto: il gemellaggio Italia-Australia funziona, speriamo che continui e porti a risultati ancora migliori. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. Bonfire
2. Like a jail
3. Woman walks her cat
4. Memento
5. Something's gotta give
6. Zeehan
7. Big brass bell
8. There is no turning back

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