2 gennaio 2017

Ombre e luci nell'hardcore nostrano: recensione ed intervista per i savonesi Gli Altri

Dal grigiore della città alla luminosità della natura: ad un occhio, e soprattutto un orecchio, poco attento il cambio di prospettiva che c’è stato fra il disco d’esordio (Fondamenta, Strutture, Argini) e questo nuovo album sembrerebbe un cambio di direzione molto netto per Gli Altri, band savonese che già aveva dato modo di intravedere qualche svolta nei tre brani dello split condiviso con gli Uragano. In realtà le novità ci sono, ma quella luminosità che evoca illusoriamente la cover è mitigata dalle ombre che non per niente si palesano sia nel titolo e nella copertina stessa, dando vita ad un gioco di prospettive che lascia una sensazione di completezza.

E’ nei testi in particolare che Prati, Ombre, Monoliti lascia intravedere un’interessante dicotomia. Non abbandonando l’energia che scaturiva dal precedente disco in essi scava alla ricerca di una speranza che nasce dalla sua assenza, mostrando una voglia di lottare e vivere che è più forte di qualunque ostacolo ci si possa trovare davanti. E’ un peccato, da questo punto di vista, che un mix che tende a lasciare le voci più indietro rispetto agli strumenti non dia la possibilità di godere appieno di queste parole, piene di personalità se non proprio d’originalità, perché ciò che aveva reso un gran disco il precedente album era proprio questo riuscire a coniugare perfettamente la potenza della musica e l’intensità del messaggio: paradossalmente ci si avvicina più alla scena emocore odierna con questo tipo di scelta, proprio mentre le voci però remano in direzione opposta e si fanno ancora più hardcore, risvegliando in me ricordi dell’inarrivabile Ivan degli Skruigners.
Anche la musica cambia, e bastano pezzi come Unai e la parte centrale dell’iniziale Prati a mostrare come all’interno di un contesto musicale sempre potente ed incisivo possano convivere arpeggi più leggeri, quasi alla At The Drive-In del primo periodo. L’atmosfera cupa del precedente disco qui è mitigata, e sebbene alcuni degli episodi migliori rimangano legati ad esplosioni sonore che non lesinano sulle distorsioni all’interno degli stessi brani convivono  momenti strumentali che aprono ad emozioni diverse: è il caso di Oltre la collina, che alterna efficacemente tensione e momenti strumentali più ariosi, ma anche di Nuovo e diverso da te, dove la sfuriata che arriva poco prima di metà brano si coniuga perfettamente ad un momento di “relax” apparente in cui il violino, sempre efficace anche quando si fa solo percepire (ascoltare la parte finale di Unai, in cui arriva a dare manforte anche la voce di Federica degli Affranti, od il modo in cui si sposa naturalmente con la carica incessante del pezzo più breve del disco, Ripenseremo), unisce melodiosamente tutti gli strumenti e porta ad un nuovo climax da cui emergono urlanti all’unisono le voci, vero motore in questo caso di un finale che si dimostra energico senza dover abusare di distorsioni.
C’è spazio nel lotto anche per un brano strumentale (Un’isola, che non riesce però a raccogliere la pesante eredità di un brano come l’incredibile Istanbul del precedente album), ma al di là di questo stupisce la capacità di variare il tiro all’interno dei brani stessi mantenendo sempre una coesione invidiabile, come accade in brani più lunghi come Oltre la collina ma anche nelle sfuriate più immediate come Idomeni: tornando al paragone con gli Skruigners evocato in precedenza è come se Gli Altri, in una maniera molto meno violenta e più dilatata, avessero fatto tesoro del percorso artistico della band lombarda riuscendo a far convergere in una durata più compressa lo stesso numero di idee. E’ soprattutto questo che fa di Prati, Ombre, Monoliti un album riuscito ed una vera evoluzione: si distacca dal passato in quanto a forma, mantenendo inalterata però la potenza che, con caratteristiche diverse, rendeva unico anche il precedente disco, tanto che a fine ascolto a voler fare paragoni si finisce ad optare per un pareggio ai punti…ma che grande incontro!

Gli Altri sfornano un disco decisamente meritevole, evolvendo il proprio suono in una direzione che sembra lo sbocco naturale di quanto espresso con il primo album e con lo split seguente, confermandosi una band da tenere d’occhio: peccato si godano meno del passato i testi, vi toccherà comprare il disco per poterli leggere approfonditamente invece di limitarvi a scaricare il disco…perché Prati, Ombre, Monoliti è in free download, ve l’avevo detto? Stefano Ficagna

Tracklist:

1. Prati
2. Unai
3. Ripenseremo
4. Un'isola
5. Oltre la collina
6. Ombre
7. Nuovo e diverso da te
8. Ventre
9. Idomeni
10. Monoliti

Intervista a Gli Altri

Andrea (chitarra e voce), Gabriele (chitarra e voce), Manuel (violino), Andrea (basso) e Lorenzo (batteria) raccontano la genesi del nuovo disco Prati, Ombre, Monoliti prima della trasferta monzese all'FOA Boccaccio.

Sia la copertina che il titolo del nuovo disco rimandano ad un immaginario meno cupo rispetto al precedente Fondamenta, Strutture, Argini: com’è nato Prati, Ombre, Monoliti?

Con lo split con gli Uragano c’è stato come un passaggio di transizione per quanto riguarda le sonorità, anche se è difficile descriverlo come una cosa consapevole visto che ogni brano è frutto dei cambiamenti che ci sono stati in noi stessi e che per forza di cose si ripercuotono sulla musica…diciamo che questo nuovo disco è lo specchio di una fase delle nostre singole vite che va a formare un magma diverso rispetto a quanto fatto in precedenza. Scrivendo pezzi molto spontaneamente, aggiungendo ognuno qualcosa a quella che è l’idea iniziale, l’unità e l’organicità del disco siamo riusciti a valutarla solo a lavori finiti, e lì abbiamo potuto tirare le fila di quanto fatto.
Ci siamo occupati delle registrazioni noi assieme a Giulio, il cantante dei 5MDR che è l’altra band di Andrea e Gabriele, mantenendo il tutto più pulito rispetto al passato per far emergere bene ogni singolo elemento, ma a conti fatti la potenza è rimasta inalterata e si sente meno di quanto pensavamo inizialmente quella sensazione di leggerezza che avevamo ascoltando le prime registrazioni in sala prove.
Diciamo che prima avevamo un muro di suono più compatto e “nichilista” se vogliamo, con questo disco abbiamo pezzi ancora più strutturati e creativi. Il fatto di associarli ad un titolo od una cover è però una cosa che come detto è stata fatta a posteriori, con il master in mano, quando abbiamo potuto osservare bene quanto avevamo fatto e valutare quale sensazione globale ci lasciava.

Mi incuriosiscono molto anche i testi, visto che vi si può leggere sia la disillusione di una probabile sconfitta che la speranza in un domani migliore: prendendo a prestito le parole iniziali di Ombre quali sono i muri da abbattere che evocate nel brano?

I testi li scrive principalmente Gabriele, anche se Andrea ha scritto qualcosa anche lui per questo disco. Nei testi non c’è una vena negativa in realtà, anche se può essere interpretata in maniera ambivalente. I muri da abbattere rientrano in qualsiasi ambito, sono infiniti, sono l’immagine di quella tensione continua verso la decostruzione dei dogmi imposti dalla società nella quale siamo cresciuti, volevamo con questa frase rappresentare la continua ricerca di ognuno di noi e la messa in critica dell’esistente come esercizio mentale.
La mancanza di speranza è presente nei testi, ma va presa non come qualcosa che demoralizzi ma che anzi ti spinga avanti sempre e comunque, forse proprio per la sua assenza. Non porta a chiudersi in sé stessi, bensì a fare il primo passo verso il futuro.

E’ molto particolare nella vostra formazione la presenza del violino. Era un’idea che avevate dal principio o un’aggiunta frutto di opportunità?

Suonavamo già insieme prima che arrivasse Manuel, avendo amici in comune abbiamo provato a fare qualcosa assieme e visto che ci trovavamo bene abbiamo deciso di continuare. E’ stata una scelta dovuta all’amicizia più che alla necessità di inserire un elemento particolare, anche perché nei pezzi cerchiamo di fare in modo che come ogni altro strumento sia funzionale al risultato finale piuttosto che un qualcosa di bizzarro da mettere in mostra.

Avete partecipato assieme ad altri musicisti liguri ad un progetto molto particolare, ovvero il disco L’Inverno Della Civetta. Cosa potete dirmi di questa esperienza?

E’ un progetto nato all’interno della scena genovese che gravita attorno al Greenfog, lo studio di registrazione dove abbiamo realizzato il nuovo disco e che ha anche una sua etichetta. Noi ci siamo inseriti con altri amici della zona di Savona tramite l’etichetta Taxi Driver che collaborava al progetto, ed è stato Andrea, il nostro bassista, a prendere parte concretamente alla cosa. Ne è venuto fuori un brano, Chewbacca On Surf, che è stato quasi un’improvvisazione: c’era l’idea di base del pezzo, di un altro ragazzo savonese, ma è stato provato solo un paio di volte e quando si è andati in studio, complice il fatto che essendo la sala di registrazione dell’etichetta che produceva c’era la possibilità di avere tempi più tranquilli, si è discusso più approfonditamente e “giocato” un po’ con le varie parti. E’ stato divertente prendervi parte e ne è venuto fuori un disco molto valido, è stato stimolante soprattutto questa idea di mischiare i componenti dei vari gruppi in quanto è un bel modo per agevolare il contatto fra le persone: alla fine il pezzo è nato fra amici e sarebbe stato ancora più bello collaborare con membri di band che non conoscevamo della scena genovese, ma anche così è stato un qualcosa che può ricordare progetti come In The Fishtank, Ep realizzati da un’etichetta olandese dove prendevano un paio di band già affermate come Sonic Youth e The Ex e gli davano un dato tempo per creare brani partendo dal nulla. Speriamo si rifaccia qualcosa del genere in futuro!

Avete realizzato uno split con gli Uragano, e nei live girate spesso con band della vostra zona o con cui avete stretto un buon rapporto: quanto è importante per voi questo tipo di condivisione della musica?

Di split speriamo di farne il più possibile, perché è anche un modo per trovarsi fisicamente e di concretizzare un legame, abbiamo tenuto da parte un brano dalle registrazioni del disco proprio per un’occasione del genere e speriamo di poterlo utilizzare in tal senso al più presto. La nostra scena gravita attorno al Rude Club di Savona dove quest’anno abbiamo realizzato un festival che è stato un po’ la summa delle sonorità hardcore in Liguria, ed a cui hanno partecipato tutte le band di amici che si vedono normalmente ai concerti. L’abbiamo chiamato Ponente Prepotente Vs Levante Arrogante, il nome più tamarro ed autoreferenziale che potevamo trovare, e lo rifaremo anche a febbraio: abbiamo già tredici gruppi confermati ed è una cosa molto bella perché siamo aumentati rispetto alla scorsa edizione, e sono tutte band nuove che vengono un po’ da ogni parte della regione mentre l’anno scorso è stata più una cosa intra nos, con membri che suonavano anche in due-tre gruppi diversi.
Fermento ce n’è molto e bisogna fare di tutto per tenerlo vivo, anche lo split con gli Uragano alla fine è nato dall’aver condiviso alcune date. Quando ci siamo formati a Savona c’erano pochissime espressioni musicali e perlopiù estemporanee, adesso per fortuna per essere una piccola provincia è diventata molto ricca dal punto di vista culturale e musicale. 

Il vostro disco è stato coprodotto da trentotto etichette diverse, come siete arrivati ad un simile risultato?

Abbiamo sempre fatto così, anche il nostro primo ep era prodotto da tre etichette diverse di cui due, Dreamingorilla e Taxi Driver, sono sempre rimaste al nostro fianco. Affinato il metodo cerchiamo ad ogni disco di passare i premix a più etichette possibili, dando la possibilità a più gente di avere così delle copie dell’album una volta finito. Abbiamo composto dei pacchetti con cd e vinili e ognuno decideva quante copie gli interessavano e facevamo il prezzo di conseguenza, ed in questo modo siamo riusciti a coprire il prezzo delle stampe senza dover tirare fuori soldi di tasca nostra, oltre al fatto che siamo così riusciti ad arrivare a stampare 500 vinili mandandone 300 in giro per l’Italia e per il mondo in generale. E’ stato anche abbastanza strano perché alcune delle etichette con cui abbiamo collaborato sono realtà che già conosciamo personalmente, mentre in altri casi sono realtà sparse per il mondo che conosciamo solamente via mail e che hanno deciso di finanziarci basandosi solamente sul fatto che la nostra musica gli è piaciuta e fidandosi del fatto che, una volta avute le copie fisiche, gliene avremmo mandate tante quante ne avevano ordinate…e stanno arrivando in questi giorni agli ultimi. Alla fine è come se fosse una raccolta alla Musicraiser, ma senza doversi appoggiare ad una piattaforma esterna, molto più in amicizia e meno fredda.

Fra le etichette che hanno coprodotto l’album ce n’è anche una molto legata a voi direttamente: cosa potete dirmi riguardo a Burning Bungalow?

Burning Bungalow è una realtà costruita attorno all’altra band di Andrea e Gabriele, i 5MDR, ed al gruppo di amici che vi ruota attorno. L’idea è nata per espandere ciò che già faceva il Rude Club di Savona, lo spazio attorno al quale gravitiamo ed in cui organizziamo cose, che coproduceva delle band comprando dischi e tenendoli poi da rivendere o anche solo regalare per far girare il nome di questi gruppi: questa iniziativa era però un po’ fine a sé stessa, e facendoci un po’ d’esperienza girando e portando in giro questa distro ci siamo accorti che sarebbe stato meglio spendere le energie in qualcosa di più concreto. Abbiamo così cambiato il nome, visto che il precedente Rude Records era lo stesso di una etichetta punk rock tedesca piuttosto grande, e cambiato il tipo di approccio, realizzando che visto che ci siamo sempre occupati personalmente delle registrazioni poteva essere più bello coinvolgere fisicamente le band con cui ci piace lavorare piuttosto che limitarci a coprodurre sentendoci tramite internet ma con un rapporto per forza di cose meno stretto. Vogliamo far uscire album realizzati fisicamente da noi, stringere un legame intimo con le band stando in studio assieme: Giulio, il cantante dei 5MDR, fa il fonico, io lo aiuto e fra tutti portiamo avanti la distro, si tratta in fondo di far conoscere alla gente musica nuova di valore mettendoci la faccia.
Il disco de Gli Altri è stata la prima uscita e a ruota uscirà il disco degli Affranti che è ormai pronto, speriamo di trovare più band possibili che vogliano fare questo percorso insieme a noi, sia umanamente che fisicamente. E’ un progetto molto fresco, nato ad agosto, ora abbiamo anche un sito (www.burningbungalow.com) ed abbiamo bisogno di band perché diventi una scommessa vincente.

Vista la distribuzione che ha avuto anche in Europa e non solo il vostro disco pensate ci siano possibilità di organizzare un tour oltre confine?

Essere vicini al confine ci dà modo di dialogare molto con la Francia, ed a maggio c’è una specie di “tradizione”  per la quale facciamo un weekend a suonare in Costa Azzurra, che per noi è più vicina rispetto a Milano: abbiamo conosciuto negli ultimi anni i ragazzi di un’etichetta francese che si chiama Bus Stop Press e tramite loro siamo riusciti ad entrare in contatto con realtà di Nizza prima e Marsiglia poi con cui riusciamo pian piano a spostarci sempre più a ovest, conoscendo anche band come i Grand Detour o gli Yarostan, quest’ultimo un nuovo progetto di musicisti che già conoscevamo e che dovremmo riuscire a portare anche in Italia in primavera. Quando eravamo ragazzini non si sentiva mai di un interscambio del genere fra gruppi francesi ed italiani, non vogliamo dire che abbiamo aperto una strada ma è bello poter realizzare cose del genere, avevamo anche in progetto di creare uno split fra due band italiane e due francesi ma purtroppo la cosa non si è concretizzata…vedremo per il futuro.
Con i 5MDR siamo già andati in Svizzera e Germania, ci sono dei canali aperti in tal senso e si tratta più di riuscire ad organizzarci noi come tempistiche in modo da avere almeno cinque giorni consecutivi per suonare il più possibile. Se ne riparlerà probabilmente in estate, è una cosa da pianificare con molto anticipo.  

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