26 gennaio 2017

In other words we are three, da Brescia arriva l'esordio dei Moon In June

Più che un esordio questo In other words we are three è un nuovo inizio, visto che i Moon In June provengono tutti da precedenti esperienze in varie band che, chi più chi meno, hanno fatto parlare di sé nel panorama indie degli anni duemila (vi dicono niente i nomi Annie Hall e Le Man Avec Les Lunettes? A me sì). Il trio (e non poteva essere altrimenti visto il titolo, anche se c’è un esplicito intento citazionista verso Charles Mingus) si dà in questo caso al pop-rock sporcato di blues, piazzando undici tracce che evidenziano una profonda coesione.

E’ spesso il basso il vero trascinatore, e basta già ascoltare il singolo Again per capire che la scelta di lasciargli meritatamente spazio è azzeccata. Lungo tutto il disco Giorgio Marcelli azzecca riff trascinanti, e la sua voce sporca fa venire in mente in alcuni momenti gli Stone Roses. Non bastano però solo due elementi a fare un buon album, e nelle undici tracce di In other words we are three si riesce a farsi trascinare solo a tratti. Sembra mancare spesso quell’attitudine ad osare un po’ di più, rendendo il ritornello di Ready or not qualcosa di più vitale di un ‘more of the same’ con una chitarra più incisiva, o facendo crescere l’energia rock’n’roll di People at the windows oltre il pur buono ma insufficiente riff chitarristico iniziale.
Qualche episodio sopra la media si incontra qua e là, come una The picture che diverte e si sviluppa in maniera interessante od una Movin’ slow dai toni più riflessivi, che si concede un breve momento cupo e quasi dissonante prima di aprirsi ad orizzonti più placidi ed orecchiabili nel finale, ma le tracce che rimangono veramente in testa sono due. L’iniziale Desert innanzitutto, dove si viene trascinati fra la polvere di un proto-stoner lento ed essenziale che muta efficacemente in lidi fra il pop e la psichedelia nella seconda metà, e proprio poco prima del finale (lasciato ad una rivisitazione più abrasiva ma meno d’atmosfera della Angelene di PJ Harvey) cattura l’incedere tetro e vibrante di When we met: strofe che giocano di sottrazione e si fanno forza della voce di Giorgio, ritornelli che rilasciano quel tanto che basta di energia per calamitare l’attenzione, chitarra e batteria che riescono con poco a salire alla ribalta come raramente nel resto del disco…funziona tutto insomma.

Facendo i conti finali vien da chiedersi perché i Moon In June non abbiano puntato maggiormente sulle atmosfere scarne piuttosto che propendere per una serie di brani che, nel loro alternarsi di rock e pop, riescono raramente a rimanere in testa. Il potenziale di brani come Desert e When we met sta lì a dimostrare che lavorando di sottrazione la band dà il meglio di sé, il resto del disco scivola purtroppo troppo spesso in una carenza d’energia che porta a volte alla noia. Stefano Ficagna

Tracklist:

1. Desert
2. Again
3. Ready or not
4. The picture
5. Something sweet something bad
6. Movin' slow
7. People at the windows
8. Videopoker
9. Please don't care about me
10. When we met
11. Angelene

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