28 settembre 2016

The Zen circus, La terza guerra mondiale è già tra noi (recensione + intervista)

Siamo già in mezzo alle macerie e non ce ne accorgiamo, o forse semplicemente non ci interessa. La terza guerra mondiale è quella che si sta combattendo proprio ora intorno a noi e in mezzo a noi, ed è anche il titolo del nuovo lavoro discografico dell'ormai noto power trio The Zen circus, da Pisa. Il disco, che esce per La Tempesta dischi, vede in copertina il terzetto, che dal cellulare scatta allegramente un selfie durante un aperitivo che sembra svolgersi tra le macerie e le devastazione della guerra. La copertina preannuncia come sempre provocazione e spunti di riflessione, ma l'album soddisferà le premesse?
Ascoltando il disco, il principale spunto di riflessione che emerge è più filosofico che concreto: nel mondo musicale c'è sempre, per forza, bisogno di cambiare e sperimentare cose nuove? L'osservazione deriva dal fatto che agli Zen circus, nel nuovo disco, sembra non interessare affatto la strada del cambiamento. Anzi, i tre musicalmente fanno addirittura un passo indietro, verso la semplicità: a differenza del precedente Canzoni contro la natura (di cui avevamo parlato qui), stavolta qualsiasi suono del disco è riconducibile solo ed esclusivamente alla sacra triade basso / chitarra / batteria. E' un male? E' un bene? Chi può dirlo? A loro sta bene così, quindi perché snaturarli o pretendere da loro qualcosa di diverso? Per quanto riguarda il messaggio delle canzoni, non è che sia meno retorico o più tagliente del solito. Ma anche questa non è una loro colpa: siamo tutti quanti in crisi da una vita, è palese che il mondo intorno a noi non abbondi di cose belle. Mi sembra improbabile quindi che troviamo terminologie nuove o punti di vista originali che ci permettano di indignarci in maniera più efficace degli altri. E quindi gli Zen circus com'è ovvio che sia prendono in giro i mali dell'Italia, la mentalità ottusa dell'Iva Zanicchi di turno (mi ha fatto sorridere il campionamento della Zanicchi originaria) nel brano Zingara (il cattivista). In Pisa merda ci fanno notare come non solo la loro città, emblema di tutti i campanilismi, ma ogni città italiana sia provinciale ed ottusa, perché non sono i luoghi ad esserlo ma le persone che ci abitano. Divertente alla fine l'elenco di città italiane (probabilmente contenente registrazioni provenienti dagli annunci vocali di qualche stazione), nel quale ad ogni città segue la parola "merda". Scopriamo così che anche (ad esempio) "Alessandria merda" suona bene almeno quanto "Pisa merda" se non di più. In San Salvario la distanza dall'Africa non ci sembra così ampia da coprire quando ci si trova davanti ad un kebab ragionando sulla propria vita, priva di traguardi e di punti fissi tanto quanto quella di chi proviene da lontano. Nella successiva Terrorista emerge un potenziale stile di vita alternativo per noi che siamo nati qui. Non voglio ballare non sembra originalissima musicalmente ma tra tutte le canzoni è quella con il testo che colpisce di più. Anche Niente di spirituale tenta di elevarsi, ma chi va in alto poi cade altrettanto in basso, e quindi forse l'equilibrio sta a metà strada tra anima e corpo o forse è meglio non farsi di queste domande. La terza guerra mondiale, brano d'apertura, è cantilenoso ma è il giusto brano da scaletta dei nuovi concerti. Ilenia è un ottimo singolo, musicalmente ci riporta agli anni '90 ma per quanto riguarda il testo ci mette di fronte al fatto che, ognuno con le proprie cicatrici di guerra, ci siamo trascinati fino a questi anni in cui "ormai le piazze fanno rivoluzioni solo quando sono vuote". La finale Andrà tutto bene dura dieci minuti e si conclude con l'invito a stare zitti, a fare silenzio. Forse è stato detto troppo. Forse è stata detta la stessa cosa da troppi punti di vista. Forse il silenzio è la vera arma. Il contrario di ciò che fa Appino nel singolone L'anima non conta, nel quale tira fuori un vocione pieno come non mai, lo butta eccezionalmente (solo per questa canzone) in primissimo piano nel mix (fonico e produttore del disco è lo stesso Appino) e gioca con la metrica, con una padronanza del cantato che sa molto più di pop da Radio Italia che non di punk, folk, rock alternativo, indie e tutti quei nomignoli che vanno a riempire le varie caselle che conosciamo. Ecco, avevamo detto che non c'erano cambiamenti e invece alla fine sì, ci sono, perché gli Zen circus che giocano sullo stesso campo da gioco di Tiziano Ferro e Ligabue non ce li aspettavamo proprio. P.S.: gran voce, comunque. Marco Maresca

Intervista a Karim Qqru

Il tema del vostro nuovo album, La terza guerra mondiale, sembra essere quello suggerito dalla copertina: siamo già in mezzo alle macerie eppure ci facciamo i selfie come se fossimo ad un aperitivo. Siamo totalmente alienati rispetto alla realtà che ci sta intorno. Come si convive con questo modo di esistere, in Italia e da musicisti?

L'Italia fa parte di un "harem" economico: nonostante la crisi (innegabile) lo Stivale rimane tra i 30 paesi più ricchi al mondo e da 60 anni non vede guerre all'interno dei suoi confini. Di conseguenza abbiamo una visione della vita, dell'economia e della socialità globale abbastanza distorta. Il sangue, la miseria e la distruzione le osserviamo attraverso uno schermo, non riusciamo a sentire i morsi della fame ed i brividi della paura che una fetta (non indifferente) della popolazione mondiale accusa ogni ora del giorno. Certo, ci sono persone che vivono sotto la soglia di povertà anche qui, ma in generale non è una situazione paragonabile a quella presente in più di un terzo del mondo. La situazione geopolitica ed economica internazionale non ci tocca realmente. Perché dovrebbe? Vestiamo una coltre impenetrabile di benessere come protezione: finché nelle nostre case avremo ADSL, smartphone, tablet, cibo, acqua, energia elettrica, sigarette, alcol, droghe e riscaldamento non sarà certo la situazione in Siria a levarci il sonno.

Nel nuovo album si nota la scelta stilistica di arrangiamenti comprendenti esclusivamente voce, basso, chitarra e batteria. Anche quando sembra di sentire qualche suono strano, questo può essere ricondotto comunque a qualcuno di questi strumenti. Come mai questa scelta, in (forse apparente) controtendenza con altre realtà italiane che sperimentano ogni nuova diavoleria elettronica o computerizzata?

In tutti i nostri vecchi dischi abbiamo sempre usato archi, synth, fiati ed organi, una caratteristica che (essendo in tre) ci obbligava a riarrangiare i pezzi in sede live. Questa volta volevamo fare un album da portare sul palco tale e quale, senza cambiamenti di sorta.

Veniamo al brano di cui sarà inevitabile parlare in questo disco: L’anima non conta, corredato dal bellissimo video “neorealista” a firma Sterven Jønger. Diverso dal resto dell’album ed anche dal resto della produzione degli Zen circus di questi anni. Perché questa scelta così melodicamente aperta? Puntate a qualche passaggio su Radio Italia in concorrenza con Tiziano Ferro? Siete consapevoli che, nel bene e nel male, sarà un brano che dividerà gli ascoltatori?

Beh, in realtà è  l'esatto contrario. L'anima non conta è il primo "instant classic" degli Zen. Nessun brano della nostra discografia aveva avuto un successo di ascolti e gradimento tra i fan così alto nei primi mesi. Per farti un esempio, Viva ha diviso il pubblico molto di più, anche se nel tempo è diventato uno dei brani più amati. Mai nella nostra storia una canzone ha unito così  il pubblico, e queste prime date del tour lo hanno confermato; la reazione dei fan al pezzo è stata incredibile, mai successa una cosa del genere... Ci sono venuti i brividi sul palco. La creazione de L'anima non conta è stata molto naturale, è il brano meno prodotto del disco: una batteria, un basso, due chitarre ed una voce. Niente armonizzazioni alla voce, chitarre ritmiche doppiate, cori o sovraincisioni di percussioni, non era stato nemmeno pensato come singolo... Anche perché un singolo che dura sei minuti e ha la voce che entra dopo un secolo non è una gran genialata a livello di marketing... Ma il pubblico lo ha amato lo stesso, forse la sua forza è proprio questa, la spontaneità.

A proposito del videoclip menzionato in precedenza, qual è stato il motivo scatenante della litigata che vi vede coinvolti in mezzo a una strada, con la telecamera che vi segue e vi riprende rendendo noi spettatori quasi parte attiva del vostro stesso litigio? Litigate spesso tra di voi? Chi vince di solito?

Siamo una famiglia. Disfunzionale eh, ma sempre di famiglia si tratta. Quando passi la maggior parte del tempo insieme da quindici anni è normale litigare ogni tanto, e se c'è una cosa che non manca tra di noi è l'onestà spietata. Non ci sono segreti  e se nascono rimangono tali per venti secondi. Credo che questo sia ciò che ci ha mandato avanti ed uniti fino ad oggi (facendoci litigare sempre meno, anche se ogni tanto qualche spintone parte sempre). Nel corso degli anni tutti si sono picchiati con tutti, ora che è entrato nel gruppo il Maestro Pellegrini alla seconda chitarra finalmente abbiamo carne nuova da percuotere.

Una curiosità: nei periodi in cui non siete in tour dove vivete? Sempre a Pisa? Qual è la realtà che vedete intorno a voi, tra i vostri coetanei e amici? Si riesce in qualche modo ad andare avanti nonostante siamo già nella Terza Guerra Mondiale?

Io vivo a Forlì da cinque anni, ma quasi ogni mese torno in Sardegna. Andre vive a Livorno ed Ufo sui monti pisani. Conduciamo tre vite molto diverse fuori dal tour e dallo studio di registrazione: io passo le giornate tra lettura, scrittura e musica... La sera esco raramente. Ufo si gode il tempo libero tra l'orto, i vinili ed i suoi ulivi, mentre Andre è il più "viveur" della band. Che dire, la vita va avanti per tutti, ma sono innegabili i cambiamenti fulminei avvenuti all'interno della nostra società. La tecnologia sta toccando vette nuove a livello di invadenza, ed ogni notizia, ragionamento o riflessione è sempre più legata a doppio filo all'esistenza dei social. Questa mutazione antropologica ci spaventa molto, ma è un futuro (forse distopico) che dovremo imparare ad accettare.

Per concludere questa intervista, vi chiedo una cosa relativa al vostro essere in giro in tour da tanti anni. E’ cambiata la scena live in Italia? Si fanno meno concerti o di più? Ci sono festival migliori o peggiori rispetto al passato? E soprattutto: la gente va ai concerti più o meno di prima?

In Italia abbiamo dei locali nella fascia qualitativa media e alta (Hiroshima, Alcatraz, Magnolia, Atlantico, Urban, Tpo, Locomotiv, ecc.) molto professionali, che non hanno NULLA da invidiare alle venues straniere. Nonostante la carenza di fondi per i festival estivi esistono realtà incredibili, come lo Sherwood festival, il Vasto Siren e molti altri. Per non parlare dei festival più piccolini che spesso nascondono sorprese bellissime. La voglia di musica è ancora tanta, ma la quantità gargantuesca di dischi  in uscita ogni anno non va al pari con la domanda del pubblico. Sul resto non posso essere molto obiettivo: con gli Zen da anni facciamo tour infiniti, in crescita e sempre più spesso sold out, ma questo non è lo specchio totale del Paese... Purtroppo ci sono molti gruppi fantastici che si ritrovano a suonare nei pub davanti a 30 persone.

(Intervista a cura di Marco Maresca. Ringraziamo Karim Qqru per la gentile collaborazione.)

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