30 settembre 2016

Sangue del tuo sangue, doppia recensione e intervista per i Requiem For Paola P.

Che il viaggio sonoro che s’intraprende ascoltando Sangue del tuo sangue non sia dei più allegri già il titolo lo paventa, la grafica dal sapore biblico da antico testamento (o, se vogliamo, da inferno dantesco) lo esemplifica ancora meglio: sia con le note che con le parole i Requiem For Paola P. tendono a turbare l’ascoltatore, ma tutto questa angoscia fieramente sbandierata è veicolata da un’energia invidiabile, vero fiore all’occhiello di una band che non scende a compromessi.
Se si esclude la parentesi centrale di Tutti questi piccoli cavalli, funerea canzone dal sapore di frontiera che i fiati di Marco e Cugio degli Askatasuna rendono ancora più vivido (ospiti nella canzone anche Andrea Castelli al contrabbasso e Daniele Cocca alla chitarra classica), la band bergamasca non si prende una pausa ed affronta a mille all’ora tutte le nove rimanenti tracce, lasciando qualche scampolo di calma solo all’inizio con Del nostro parlare moderno, dove comunque si ha continuamente addosso la tensione che precede un’esplosione che, breve ma incisiva, arriva a fine brano.
Fra atmosfere cupe dei primi Teatro Degli Orrori e ritmica che li avvicina all’attivissima scena emocore degli ultimi anni Sangue del tuo sangue si dimostra un album ostico, che necessita svariati ascolti per essere apprezzato in tutte le sue sfumature. Il basso distorto che trascina impetuosamente Masticando nebbia e lo sfogo finale a due voci di Alluvioni Cambiò (il miglior brano dell’album a mio parere) sono le prime cose che entrano in testa, ma una volta scesi a patti con le strutture fin troppo articolate di pezzi come Un’ora d’armi è facile farsi coinvolgere dalla potenza esplosiva dagli strumenti.
Nulla va lasciato (tra i denti) amplifica la sua energia inziando lenta e prendendosi una pausa prima dell’ennesimo ritornello al fulmicotone, aiutata nella sua efficiacia anche dal lavoro di cesello dei synth, Il tuo pasto notturno è debitrice di Fine Before You Came ed epigoni soprattutto nell’incessante dualismo vocale e rappresenta, assieme ai momenti ritmicamente più dilatati della successiva Nel gorgo, muti, la traccia più solare dell’intero lavoro, I rami oltre è una cavalcata inarrestabile che si smorza a metà mantenendo inalterata la tensione: La coda delle nove, dalla mutevolezza fin troppo esasperata, chiude con la stessa oscurità evocata in copertina il disco.

Meritano più di un ascolto i Requiem For Paola P., soprattutto perché la tendenza ad elaborare strutture articolate potrebbe risultare straniante ai più: una volta presa confidenza con questa caratteristica (che a lungo andare, risulta spesso vincente) e con i testi criptici e sanguigni della band quello che rimane nelle orecchie è un gran bel sentire. Dopo sei anni dall’ultimo disco si può dire che il gruppo bergamasco è tornato in ottima forma, complimenti anche per questo. Stefano Ficagna

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Come etichettarli i Requiem for Paola P. (se proprio ci fosse bisogno di etichette)? Se ne stanno da qualche parte tra l'alternative rock della scena milanese e il metalcore. Pescano dai Fine before you came e dai Ministri degli esordi, in stile I soldi sono finiti, ma arrivano ai Linea 77 sconfinando anche verso Deftones o Ill Niño. Il loro terzo disco, per la seconda volta cantato in italiano, si intitola Sangue del tuo sangue ed esce per Sliptrick records.Il loro stile si caratterizza per la compattezza e la violenza del suono, date dall'acidità delle chitarre che si contrappone a un basso molto pieno e ad un drumming sempre molto preciso. Ma soprattutto è notevole l'uso delle due voci, entrambe abbastanza rabbiose, la prima molto incisiva nel narrare i lunghi e complessi testi e la seconda proprio brutale quando serve (I rami oltre). I pezzi, come si intuisce dall'artwork surrealista della copertina, sono tutti abbastanza onirici e in alcuni casi anche esoterici. Ad esempio l'iniziale Del nostro parlare moderno, che accosta numeri e visioni surreali come in un mazzo di tarocchi. Spesso le situazioni descritte sono accostate ad immagini di animali e ciò avviene anche in altri brani, tra cui Tutti questi piccoli cavalli e I rami oltre. I Requiem for Paola P. hanno spesso bisogno di visioni allucinatorie per descrivere il mondo che hanno intorno, il contesto urbano deviato di Nel gorgo, muti e La coda delle nove. La fase di registrazione ha il merito di uscire dai cliché del genere, in cui solitamente l'incisività è dovuta a suoni compressi, frequenze tagliate e predilezione per i suoni medio-alti. La band sa esprimersi in un range completo: solo le chitarre sono acerbe e squillanti (un po' in stile Dragogna, in particolare Un'ora d'armi ricorda molto i Ministri), mentre il basso è sempre giustamente cupo e le voci sono molto dinamiche. Proprio questa ottima padronanza dell'essere un gruppo fa sì che il loro sound sia valorizzabile. La pecca è che nove brani su dieci, seppur d'impatto, giocano sugli stessi schemi. Si differenzia solo Tutti questi piccoli cavalli, lenta e solenne come la colonna sonora di un vecchio film western e ricca di fiati. Alla fine succede che proprio il brano che diverge dallo stile caratteristico della band è quello che rimane più impresso. A parte ciò, la band merita vivi complimenti perché fa cose che anche altri in Italia vorrebbero fare ma, al contrario di altri, ci riesce. Marco Maresca

Tracklist:
1. Del nostro parlare moderno
2. Un'ora d'armi
3. I rami oltre
4. Masticando nebbia
5. Tutti questi piccoli cavalli
6. Nulla va lasciato (tra i denti)
7. Alluvioni Cambiò
8. Il tuo pasto notturno
9. Nel gorgo, muti
10. La coda delle nove


Intervista ai Requiem for Paola P.

Ciao ragazzi, innanzitutto da cosa deriva il nome Requiem for Paola P. e soprattutto chi è Paola P.?

(Band) Ciao Asap e grazie per ospitarci!

(Andre) Il nome della band pesca in memorie di dieci anni fa ormai. Era il 2006, eravamo quattro amici dispersi in provincia che suonavano in due band differenti e che si conoscevano da anni. Conseguentemente allo stallo delle rispettive band, ad un certo punto ci siamo detti: perché non creare un progetto nuovo, che non porti via molto tempo, solo per suonare e divertirci? E come lo chiamiamo? I primi nomi non convincevano, come spesso accade. Poi, una domenica, dopo uno zapping pomeridiano, qualcuno arriva in sala prove e racconta di aver visto il classico programma infimo del pomeriggio domenicale, con giochi ed uscite di basso gusto e livello, e che un buon nome sarebbe stato "Requiem for Paola P.". Nome accattivante ma anche tutto sommato serio, incarnazione di tutto quello che non volevamo diventare, tutto quello per cui non volevamo essere ricordati o al quale non volevamo essere accostati. Un requiem a chi la testa l'aveva messa, a sua discrezione o meno, sotto la sabbia. Poi le cose si sono evolute e la band è cresciuta arrivando fino ad oggi, con molti cambi di formazione, ma con lo stesso spirito e con la stessa volontà di portare avanti quel concetto di distacco dalla normalità che ci sta intorno.

(Baba) Paola P. potresti anche essere tu!

Siamo in un periodo in cui la parola d'ordine dell'indie rock sembra essere "pop". Tutto è fatto per rendere quieto l'ascoltatore e non disturbarlo: i suoni son sempre giusti e orecchiabili. Voi invece siete su un percorso opposto a questo. Ci mettete molto istinto e molta violenza. Come mai questa attitudine? E come mai le due voci? 

(Andre) Uhm, non so, tutto è indie e bello pulito, se lo vuoi vedere. Di sicuro ci sta la tendenza a nascondere la polvere sotto il tappeto. Questo vale per le produzioni musicali ma anche per tanti aspetti della vita. Bisogna stare buoni, non rompere le palle, altrimenti di sicuro qualcuno dirà che hai dei motivi distorti per uscire dagli schemi. Onestamente non ci interessa, a noi piace così, e dopo il disco precedente (Tutti appesi) abbiamo intrapreso questa strada senza domandarci o imporci nulla. Tutto è stato una naturale progressione, ed andando avanti non ci faremo problemi a muoverci verso quello che ci incuriosirà, anche addentrandoci in territori a noi meno consoni magari. Di certo, come dicevi, la musica ad oggi si è anche di fatto ripulita ed ordinata, viene spesso fatta e prodotta per essere digerita ed imparata velocemente e conseguentemente anche dimenticata in fretta. Questo però è anche un problema legato a chi produce e a chi fruisce. Ci tengo sempre a dire che esiste una "scena", passami il termine, che è ben fuori da questi canoni e che scrive e suona cose molto interessanti, che rischia e si schiera, pensa ai vari Marnero, Ornaments, Massimo Volume, o molti altri. Il problema è forse che l'interesse dell'ascoltatore medio è piuttosto scarso, così come la sua curiosità nel ricercare e buttarsi. Si preferisce puntare sul facile, piuttosto che staccarsi dalla massa. Per quanto riguarda le due voci ci piacevano. Io e Claudio avevamo timbri differenti e ci sembrava interessante esprimere le canzoni supportandole con voci e intenzioni di canto duplici. Nel disco precedente la cosa era più evidente, visto che avevamo avuto molto tempo per lavorarci. Quando Claudio ha lasciato la band, e siamo ripartiti, abbiamo intrapreso lo stesso discorso con Gianpaolo, e credo lo continueremo sempre, essendo un metodo che ci piace molto.

(Ardi) Si tratta appunto di un'attitudine, non ci sono dietro particolari ragionamenti. Semplicemente facciamo quello che più ci viene naturale fare. Se una canzone ci piace la teniamo, indipendente da come suoni. Quello che non ci soddisfa lo scartiamo.

(Baba) Chiedere come il "come mai" delle due voci è un po' come chiedere a un cane perché abbaia. Le canzoni sono nate così, certe parti vocali erano più adatte alla voce di Andrea, altre più adatte alla mia. Il ritornello de I rami oltre, per esempio, è nato in sala mentre facevamo jam session. Mi è venuta in mente una melodia e l'ho cantata. Tutto qui. In realtà c'è un elemento di "prestigio" che va riconosciuto ad Andrea, cioè che sulle voci lui è molto bravo a scrivere sia per sé che per gli altri. 

I vostri testi sono spesso surreali: monaci tibetani, cani che mordono le calcagna, teste di porco, piccoli cavalli che ragionano di algebra, maiali da divano. Come mai questa scelta? Perché questo modo di illustrare la realtà?

(Andre) Ho sempre avuto un forte interesse nell’andare oltre e non fermarmi alla prima parte della scrittura. Credo sia anche un po' il mio limite, quello di non riuscire a scrivere uno slogan per quello che è. Preferisco l'utilizzo di figure retoriche, di parafrasi. Mi piace girare intorno, fare il percorso lungo, fermarmi al lago a prendere un gelato, stare seduto a guardarlo sciogliersi. Ecco, l'ho fatto ancora! Comunque non so, di certo non è studiato a tavolino. E’ il mio modo di descrivere le cose, poi ognuno ci vede dentro il suo significato. Trovo interessante quando qualcuno parlando mi dice: "Oh, ma lì volevi dire questo o quello? Bello che tu lo abbia fatto in quel modo!”. A volte non è neanche proprio così, ma si aprono mondi e confronti notevoli quando succede, ed è sempre una delle cose più interessanti. Ah, ma sai? Non avevo mai ragionato di quanti animali fossero presenti nelle liriche!

(Baba) Ogni volta che cammini sulla sabbia, o sulla terra da poco battuta, lasci un'orma. E' la tua orma, uguale solo a sé stessa. Quello a cui ti riferisci in merito ai testi è come Andrea vede il mondo che gli sta intorno. E' la sua orma, uguale solo a sé stessa. 

Sempre parlando di surrealismo, una curiosità: l'illustrazione di copertina, sia come tecnica, sia per il cielo costellato di occhi, ricorda un'illustrazione dell'artista ottocentesco Grandville, considerato il precursore del surrealismo (nell'originale gli occhi nel cielo sembravano giudicare un assassino che scappava via per il rimorso). E' un riferimento voluto? 

(Andre) L'immagine di copertina in realtà pesca ancora di più nel passato rispetto a Grandville. Si tratta precisamente di una composizione di tre differenti incisioni del 1500. Le abbiamo composte pensando al significato che volevamo dare al disco, partendo dagli argomenti trattati. Di sicuro c'è una certa attenzione, come hai notato giustamente, verso il surrealismo, ma non solo. Siamo fan di tutte quelle arti che aiutano i ragionamenti e il pensiero, quindi libri, film, musica d'ogni genere e quant'altro sono il nostro pane quotidiano. Ovvio, poi, averne un riflesso più o meno riscontrabile anche nelle nostre composizioni. I concetti originali  presi e ribaltati secondo i nostri stilemi possono assumere forme più o meno simili alle cose che più abbiamo apprezzato. L'immagine dell'occhio è poi un classico di molti artisti, pensa anche a Dalì o allo stesso Hitchcock. E’ chiaro che i riferimenti vengono a galla facilmente: fanno parte comunque di un background subconscio che ti porta a rielaborare cose che ti hanno colpito, trasfigurandole rispetto ai concetti che vuoi esprimere. In questo ci puoi vedere anche il surrealismo di Grandville. I nostri occhi osservano anche loro quello che succede agli uomini sotto, che di occhi non ne hanno più. Chi li guarda potrebbe essere un dio, una coscienza, o l'uomo stesso, non più padrone di sé. Il disco è molto legato al concetto di terra, alle origini, ai ritorni, e anche all'ambiente geografico che abbiamo intorno, al fermarsi e chiedersi il senso di queste cose in un'epoca dove si prediligono la velocità ed i cambiamenti repentini. A noi invece piace vedere quando sale il livello del fiume, cosa trasporta e cosa lascia dopo la sua piena.

Tutti questi piccoli cavalli è diversa dal resto del materiale, sembra una colonna sonora da film western. Ha un incedere lento e solenne. Come è nata l'idea di questo brano? e gli strumenti a fiato li ha suonati qualcuno o sono dei campionamenti?

(Andre) Il pezzo centrale del disco è stato suonato realmente, grazie all'aiuto di due amici di vecchia data (Marco e Davide) che suonano una tromba e un trombone. Volevamo inserire qualcosa che richiamasse il reading del disco precedente, qualcosa che si staccasse da tutto e rimanesse lì nel mezzo, sospeso. A differenza del reading, che era nato come una ghost track, volevamo fosse parte integrante dell'ascolto. C’era questo giro di accordi, che tendeva un po' a quell'atmosfera di confine messicano, e visto anche il grandissimo amore che ho per i Calexico abbiamo provato a buttar giù l'idea, senza modificarla troppo, e in un paio di prove con la sessione fiati è nata la canzone. Così è finita nel disco, senza troppe modifiche o cambi. Alla fine anche Andrea Castelli (Shandon, Orso Maria Moretti, ecc.) ha messo del suo suonando il contrabbasso. Per noi è stata la classica ciliegina sulla torta.

(Ardi) Questa canzone l'ha portata praticamente finita Andrea. Insieme abbiamo ritoccato l'arrangiamento e pensato di metterci dei fiati e un contrabbasso. Volevamo una canzone che staccasse completamente dal resto del disco a livello di sonorità ma che avesse comunque lo stesso "mood" degli altri pezzi.

Un'ultima domanda. Una curiosità. Mi colpiscono, simpaticamente nel senso che mi fanno sorridere, i titoli dei brani: spesso sembrano dei nonsense, come Un'ora d'armi o Alluvioni Cambiò (poi però i testi dei relativi brani danno indicazioni sulla validità del titolo e si scopre che non sono buttati a caso). Ho come il sentore che almeno in qualche caso sia nato prima il titolo e poi il brano. Confermate o smentite?

(Andre) In realtà non è proprio vero. Cioè, tendenzialmente è sempre nato prima il testo. I titoli si sono evoluti in base alla composizione di esso. Unica cosa: certi titoli sono arrivati con le parole diciamo complete all'80%. Nella maggior parte dei casi però i titoli sono arrivati dopo. Tanto è vero che se vedessi la scaletta dei live noi utilizziamo altri metodi per indicare i pezzi, che son quelli con cui ce li ricordavamo durante la composizione. Ad esempio il penultimo pezzo del disco si chiama Nel gorgo, muti. Noi l'abbiamo composta con il nome di Trever, ed ancora la chiamiamo così! Essendo il disco piuttosto fresco, i titoli “veri” non li abbiamo ancora ben memorizzati! Siamo contenti però che tu abbia notato non ci sia casualità tra titolo e testo. Senza arrivare al filosofico, la scelta dei vari nomi dei pezzi è stata una parte che abbiamo curato in modo particolare!

(Baba) Mi dispiace dover smentire fortissimamente, Marco. I nomi delle canzoni sono molto lontani dall'essere nonsense: Alluvioni Cambiò, per esempio, è qualcosa che potresti trovare navigando in Internet; Un'ora d'armi rispecchia perfettamente il senso profondo del testo in questione... Pensa che per avere i titoli definitivi delle canzoni abbiamo dovuto aspettare quasi di avere la stampa del disco pronta! Ancora oggi, sulle scalette dei live, usiamo i nickname che davamo alle canzoni prima di avere le versioni definitive... Quelli sì che sono nonsense!

(Ardi) Ahahahahahah

Ringraziamo i Requiem for Paola P. per la disponibilità e speriamo di ritrovarli presto.

(Band) Grazie Asap! A presto e speriamo di ritrovarci live!

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