4 luglio 2016

Motta: La fine dei vent'anni raccoglie l'eredità della scena "indipendente" degli Anni Novanta

Il debutto solista di Francesco Motta La fine dei vent'anni è uno dei miei dischi preferiti di quelli ascoltati finora nel 2016. Un disco che mescola nel migliore dei modi pop e canzone d'autore; mi piace immensamente per come è suonato, per l'attitudine delle canzoni in cui si sente l'impronta intensa del Pan del diavolo (Del tempo che passa la felicità) e di quel Riccardo Sinigallia (La fine dei vent'anni), qui co-autore di tre brani, che quasi nessuno va a sentire ai concerti, ma che tutti idoloatrano come produttore.

Motta debutta come solista dopo le esperienze con i Criminal Jokers dei quali era paroliere, cantante e batterista, con Nada, Zen Circus, Pan Del Diavolo. Le canzoni hanno il pregio della semplicità e dell'immediatezza (Sei bella davvero), a volte si fanno mantra ipnotici (Prima o poi ci passerà, con le linee di basso di Laura Arzilli, nei primi Tiromancino e attuale compagna di Sinigallia), altre volte raccontano con semplicità scene di vita quotidiana (Mio padre era comunista), non tralasciando mai un messaggio per certi versi politico.
Gli episodi meno riusciti sono forse quelli più rock, dove la voce di Motta, ad esempio nella afterhoursiana Se continuiamo a correre, non è sempre al 100%.
La fine dei vent'anni raccoglie l'eredità della scena "indipendente" degli Anni Novanta, quando le grandi etichette scommettevano ancora su gruppi che poi hanno dato moltissimo alla musica italiana, come i primi Tiromancino, Max Gazzè o un'acerba Carmen Consoli.
Questo album  mi da ridato il piacere di ascoltare qualcosa di nuovo e di finora sconosciuto. Ed è stato bellissimo, però per piacere non fate la stronzata di chiamarlo "disco generazionale". Roberto Conti

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