8 luglio 2016

Funerali alle Hawaii, l'album di Calavera tra ritmo e malinconia

Lo confesso: ho sempre odiato la deriva “cantautorale” che ormai domina il panorama indipendente italiano da un paio d’anni a questa parte. Sono un vecchio rocker, cresciuto a pane, indie, punk e metal che proprio non riesce ad entusiasmarsi per tutti questi piccoli “Battisti per alternativi” che ultimamente sbucano come i funghi. Per cui quando mi è capitato tra le mani questo Funerali alle Hawaii, esordio discografico di Calavera, alias Valerio Vittoria (ex Froben, Matildamay, Paolo Mei & Il circo d’Ombre nonché chitarrista di Colapesce nel tour di Un meraviglioso declino), il primo pensiero è stato quello di liquidarlo subito come l’ennesimo, inutile disco di un artista bravo con le parole, ma inconsistente dal punto di vista musicale. Invece, mai fare i conti senza l’oste! 
Nonostante la diffidenza iniziale, questo Funerali alle Hawaii mi ha lentamente conquistato. Merito di un mix equilibrato e vincente tra un pop molto raffinato ed elegante (fatto di chitarre acustiche, sinth, drum machine, percussioni), un’eccellente produzione (i suoni del disco sono davvero bellissimi) e un immaginario intimo e riflessivo che, per usare le stesse parole dell’autore, “senza finestre sul mondo, celebra una fine, con l’entusiasmo di un nuovo inizio”. In questo viaggio agro-dolce tra relazioni finite, abbandoni, lutti, ossessioni e cose irrisolte, brillano per immediatezza le raffinate melodie de I miei discorsi, La libertà nascosta, Mentre dormi e della bellissima e personalissima cover de Le case d’inverno di Luca Carboni (da Persone silenziose, 1989).  Come i fiori, con il suo incedere dolce e malinconico, rappresenta la chiave di lettura dell’intero disco: come un funerale alle Hawaii, l’ascoltatore è colpito da questa contrapposizione tra ritmo, danza e fiori da un lato e il dolore per un lutto dall’altro. Dopo l’amara constatazione della «distanza siderale tra me e te» di Se finisce il mare (in assoluto il brano più cupo del disco) e l’inutile tentativo di farcela nella «vita nascosta delle case» per «risolvere» e «risolversi», Le cose non risolte riaffiorano come iene a ridere di noi. I nove pezzi di Funerali alle Hawaii immaginano spazi lontani chiusi in un ambiente domestico. La casa: punto di partenza e punto d’arrivo del viaggio intimo di Calavera, tra ritmo e malinconia. «Devo avere una casa per andare in giro per il mondo» dicevano anni fa gli Assalti frontali. Qui nessun viaggio può colmare il vuoto e la nostalgia per una casa che non c’è più. Sentimenti cupi, espressi con un linguaggio semplice e diretto, che colpisce e convince nel suo vivisezionare il triste teatrino della quotidianità borghese. Totò Santino

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