17 settembre 2015

Perpetuum, l'EP dei Raein per aiutarci a spingerci oltre

Nelle nostre vite esistono dei bisogni. Uno di questi è quello di sapere, di spingersi oltre, il bisogno e la sete di cultura. Di conoscere nuove realtà, nuove forme di pensiero e di linguaggio,di non smettere mai di imparare, di scoprire nuovi modi di vedere la realtà. La cultura è il senso stesso della realtà a livello primario, spurio. È il più diretto messaggio che il mondo esterno ci vuole comunicare. I Raein sono uno di quei gruppi che spingono a soddisfare questo bisogno. Un loro album non è mai mero appagamento, non è mai un’incognita fuorviante: ogni loro disco è un cerchio che si chiude sempre.

Il loro ultimo lavoro, un EP intitolato Perpetuum ed uscito, autoprodotto come fu Sulla linea dell'orizzonte tra questa mia vita e quella di tutti, lo scorso giugno, si compone di sei tracce per un totale di meno di un quarto d’ora di musica. È cantato in italiano (escludendo la citazione ramonesiana in Drvenik “Today your love…” ) ed è suonato in modo molto simile allo split uscito per Deatwhish coi Loma Prieta, anche se i suoni sono, come sempre, capaci di regalare sempre qualcosa di nuovo anche per chi li conosce e segue dagli albori. Perché in “Perpetuum” c’è sia Artmachine observation tower che 2 di 6, per esempio. Vengono accantonate ormai quasi del tutto le disperatissime e violente sferzate emo-grind alla Richmond dei primi dischi e l’aria che respiriamo si fa più compatta, più malinconica, dura e frugalmente casalinga. “Mai più perduti di adesso, mai più soli e impauriti, mai più vivi. Sulle rovine in questo deserto, non ci affilieremo.” recita Giovanni Drogo (Requiem) , riprendendo un'atmosfera di buzzatiana attesa ed angosciante consapevolezza. E noi dobbiamo prendere appunti, dobbiamo chiarire i significati più reconditi, dobbiamo sforzarci di assaporare l’amaro.  La finale Senza titolo è, invece, uno dei pezzi più belli che i cinque Raein abbiano mai scritto: la partenza è la classica partenza onirica e frammentaria dei loro brani più ballabili, una partenza che sembra quasi un finale ma  che esplode in un lento ed ironicamente slanciato coro su ricordi e fallimenti. Le parti strumentali sono lunghissime ma quando terminano non lasciano scampo: “Allena i polmoni alla corsa! Le cose più care deluderanno sempre, nessuno ci ha visti morire.” No, nessuno ancora, ragazzi. Andrea Vecchio

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