18 giugno 2015

Gli 'elefanti' di Calvino raccontati in un'intervista

In occasione del concerto di Calvino nel novarese, per presentare i brani del suo primo full lenght album Gli elefanti uscito per l'etichetta Dischi Mancini, abbiamo fatto quattro chiacchiere con il musicista milanese.
* Parlaci un po' di te, della tua infanzia e di come ti sei avvicinato al mondo della musica. C'è una canzone o un artista che ti ha cambiato la vita?
Il primo momento in cui ho provato un'attrazione per uno strumento è stato quando ho sentito il suono di un organo Hammond. Mi era trasferito da non molto dalla bassa bergamasca dove sono nato alla periferia di Milano, a Segrate.

I cantautori però erano nella mia vita fin da molto piccolo. Mio padre aveva una raccolta di cassette dell'Unità nelle quali c'erano tante delle canzoni che hanno riempito la mia infanzia, da Dalla a Jannacci a De Gregori.

* Qual è la soddisfazione maggiore che provi nel fare musica?
Il momento in cui chiudo una canzone. La sensazione di aver dato forma a qualcosa di compiuto, con una sua personalità e che da ora prenderà il suo percorso anche grazie ad altre persone. Quel momento è magico.

* C'è qualche avvenimento o performance che vorresti cancellare dalla tua memoria? E quale invece ricordi con più gioia?
Sono diversi anni che giro per suonare quello che scrivo, per molto tempo solo piano e voce, fin da quando avevo ventun anni.

I concerti da dimenticare ci sono: una volta ho dovuto combattere per un'ora buona con il rumore delle slot machine di un bar appena fuori Milano. Come fossi capitato a suonare lì non mi ricordo. Però non vorrei cancellarlo, anche quelle serate sono servite.

Quella che ricordo forse con più gioia è stata la data di presentazione di questo disco, all'Ohibò. Per anni ho suonato da solo o in duo, ed era la prima volta che mi trovavo sul palco con una band (la mia!) di ragazzi che condividono quello che faccio e ci si sono immersi completamente. Molto bello.

* In cosa pensi di differenziarti dagli altri cantautori italiani?
Non saprei, sono una persona con la propria storia, il proprio modo di vivere e il proprio modo di scrivere. Vedere le proprie similitudini con altri dal di fuori è abbastanza complesso, lascio a chi ascolta trovare i diversi rimandi. Quello che cerco di fare, ed è anche la cosa in assoluto più difficile, è cercare di rimanere il più onesto possibile nel raccontarmi, senza fuggire in stili preconfezionati o in modalità astruse. Cerco di essere diretto, il più possibile.

* Sei d'accordo con chi sostiene che per produrre musica di qualità bisogna rivolgersi al mercato estero? 
Assolutamente NO. Diverso è dire che nel mercato estero si trova una mole di musica di qualità decisamente più alta alla media italiana. Ma dire che qui non è possibile farla mi sembra proprio voler nascondere la testa sotto la sabbia. Prendi e cerchi di fare del tuo meglio, punto.

* Parlaci del tuo album Gli elefanti. Com'è nato e quali sono state le emozioni che hai provato durante la stesura?
Il disco nasce come conseguenza dell'EP Occhi pieni occhi vuoti registrato sempre al Blend noise studio di Milano.
E' come se l'EP fosse stato un periodo di incubazione del futuro disco, lì ci siamo sperimentati nella cura degli arrangiamenti, nella ricerca dei suoni, in un approccio più libero alla produzione artistica delle canzoni... Poi sono arrivati Gli elefanti e hanno fatto un gran casino. Le registrazioni sono state un periodo di lavoro frenetico, siamo rimasti in studio due mesi quasi in uno stato di trasporto ipnotico, è stato molto bello e molto stressante insieme.

* Perchè la scelta di questo titolo?
Per molte ragioni. Mi piacerebbe lasciar andare l'ascoltatore alla ricerca di queste ragioni, come un esploratore nella foresta, senza che sappia se quello che troverà sarà pericoloso o no, amichevole o aggressivo, piccolo o gigantesco.
Gli elefanti sono un simbolo che riassume diversi temi all'interno del disco: il ripercorrere il proprio essere adulti e la propia infanzia, uno sguardo sui luoghi che ci circondano che talvolta è più realistico quanto più riesce ad essere allucinato.

* Qual è la canzone dell'album che pensi descriva meglio Calvino?
Non saprei, in Blacky ci sono molte cose personali ma non saprei sceglierne una.

* Nell'album nomini spesso Milano, che rapporto hai con la tua città? Per esempio in Milano Est scrivi: "tornerà quella città che noi giravamo sulle Grazielle dei tuoi"... Sembri avere una vena malinconica, ti manca qualcosa di una Milano passata?
Milano è una città complessa e secondo me parecchio fraintesa. In ogni caso è difficile pensarla nel suo complesso.
E' una città in continuo cambiamento, almeno superficialmente. In mezzo a questi spazi che cambiano rimangono alcune cose limitate e che non cambiano, che sopravvivvono al tempo. Mi sembra un'ottima rappresentazione di quello che succede in ognuno di noi. Si prova ogni giorno a darsi una facciata nuova e bellissima e poi si finisce per provare nostalgia degli angoli dimenticati.
La malinconia che c'è in Milano Est non si riferisce tanto al cambiamento dei luoghi quanto al mio cambiamento. 

* Quali sono i tuoi progetti per il futuro? 
Suonare, ma suonare tanto e fare arrivare Gli elefanti il più lontano possibile.
Dopo di che ricominciare tutto daccapo. 

Intervista di Martina Viteritti

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