28 luglio 2014

I Sick Tamburo e il ripetitivo "Senza vergogna"

Il primo rapporto che ho avuto coi Sick Tamburo non è stato dei migliori, o piuttosto non lo è stato principalmente per un mio amico: ritrovatici in macchina il loro primo disco, non so più in che modo, ho assistito ad un paziente rituale che ha visto il suddetto amico estrarre il cd dal lettore, abbassare il finestrino e lanciare l'album fuori nella campagna novarese. Non ebbi molto da ridire allora sulla scelta, ma ora che mi ritrovo a giudicare il terzo ed ultimo lavoro della band mi sento un po' in colpa. Solo un po' però.
Nati come costola dei mai ufficialmente scioltisi Prozac + (Elisabetta e Gian Maria vengono da lì, ed hanno cercato di nascondere questa “parentela” in svariati modi, non ultimo quello di farsi chiamare Boom Girl e Mr. Man) i Sick Tamburo vedono un cambio netto alla voce: partiti con la sola Elisabetta ad occuparsi delle linee vocali e convertitisi col secondo album A.I.U.T.O. ad un'alternanza fra lei e Gian Maria ora, con l'arrivo di questo Senza vergogna, rimane proprio solo quest'ultimo ad occuparsi della voce. Una metamorfosi che cambia solo in parte le carte in tavola, ma che ho sinceramente apprezzato, anche se non sono molti i pezzi dove Gian Maria dà l'impressione di impegnarsi più del minimo sindacale in questo ruolo.

Allo stesso modo del cambio vocale, già intavolato col precedente disco, anche musicalmente si intravedeva un percorso volto a dare più ariosità ai brani votati alla pura ossessività dell'omonimo esordio. Da questo punto di vista Senza vergogna continua su questa strada, anche se l'unico esempio che veramente può dirsi riuscito nel cercare una vena più melodica è il singolo Il fiore per te: la forma canzone viene sfruttata anche in brani come l'iniziale Qualche volta anch'io sorrido, dalle venature stoner piuttosto invitanti, nel connubio electro-rock di L'uomo magro o nella grintosa Niente ti dipinge di blue, ma lo stacco fra strofe e ritornelli è ben poco marcato e la ripetitività degli stessi rimane comunque un problema con cui fare i conti. L'album intero dà in fondo un'impressione di poca fantasia, tanto che la seconda traccia Prima che sia tardi sembra al primo ascolto la prosecuzione del brano iniziale piuttosto che una canzone a sé stante.
Se si unisce questo quadretto iniziale alla presenza di brani che fanno dell'ossessività, sia a livello musicale che di testi, la loro ragion d'essere, si capisce che la situazione non riesce a migliorare col passare dei minuti. La batteria scarna ed il basso monocorde di Se muori te sono variazioni musicali che non riescono a donare un alone di interesse ad un brano semplicemente noioso, Ho bisogno di parlarti azzecca un arpeggio di chitarra coinvolgente ma crolla sotto il peso di un testo che a furia di sentir ripetere il mantra del titolo lascia spossati...difetto che la accomuna alla summa di situazioni alcoliche descritte in Quando bevo. Pezzi come questi lasciano intravedere il principale problema della musica dei Sick Tamburo: i brani durano troppo per le idee che vi sono riversate, ed il difetto risulta ancora più evidente quando si adotta la strategia del finto finale come in Quando bevo e Ho bisogno di parlarti, rilasciando un effetto boomerang che porta a dire “nooooo non è ancora finita?”

Forse Senza vergogna non finirebbe fuori dal finestrino del mio amico, ma non fa molto per portare la musica dei Sick Tamburo verso un'evoluzione sonora degna di questo nome: il cambio vocale e una generale voglia di andare oltre i crismi ossessivi con cui erano partiti sono buoni propositi non suggellati da un risultato finale che, pur mantenendo una forte dose di coesione, stanca in più punti già dal primo ascolto. Stefano Ficagna

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