5 gennaio 2014

Quintale dei Bachi da pietra e quell'atmosfera da bassifondi delittuosi

Dopo una vita su Wallace, tornano i Bachi da Pietra con un album full-lenght intitolato Quintale per LaTempesta e la interessantissima Woodworm, racchiuso in un artwork piovigginoso firmato Iacopo Gradassi (già con Sons of Vesta Records). Loro sono in giro dal 2005 e non si sono mai fermati, proponendo un noise/blues minimale, dove l’aggettivo “minimale” è da intendere alla Cechov: le canzoni sono infatti dei microcosmi culturali ed idealizzati nei quali ogni personaggio ha una propria vita ed una propria realizzazione personale.
Si inizia con i fischi e il giro di chitarra stoner di Haiti, brano potente, lento e tesissimo, per passare a Brutti Versi e Coleotteri, più veloci e dettanti ritmi rock’n’roll al limite della frenesia. Mari lontani è una marcia poetica e nostalgica che risalta le grandiose doti canore di Giovanni Succi, che con Bruno Dorella rappresenta da anni il progetto Bachi da Pietra. L’atmosfera da bassifondi delittuosi è ripresa più volte all’interno di Quintale, basti pensare a Io lo vuole e Fessura, canzoni lunghe e blasfeme nella loro brutale schiettezza. Con Paolo il tarlo ritornano le rullate e le chitarre californiane alla Kyuss, il tutto rivisitato in chiave grottesca e malvagia. Sanno scherzare con la propria cultura, i Bachi, e ciò non è frequente per ciò che riguarda il panorama musicale italiano. Andiamo avanti con Sangue ed i suoi echi sudati e duri, e Dio del suolo, un bellissimo lentone chiaro e diretto che ci riporta a giornate più serene e periodi più leggeri contornati da un’idea manichea della morte che personalmente adoro. Quintale è un album lungo, ricco di contenuti e faticoso grazie al quale i Bachi da Pietra dimostrano che sia assolutamente necessario seguire i gruppi che da sempre hanno creato e modellato la scena indierock italiana. Non sto parlando di veterani o liberi vecchio stampo, ma semplicemente di attitudine.
Andrea Vecchio

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