7 gennaio 2014

Museo Rosenbach, terzo disco in quarant'anni per ammonire contro le illusioni della modernità

Barbarica (Immaginifica / Self distribuzione) è il terzo lavoro in studio del Museo Rosenbach in quarant'anni. Il loro primo disco, Zarathustra, del 1973, è ad oggi considerato dalla critica specializzata uno dei più influenti album di progressive rock a livello mondiale. Peccato che dopo il '73 la band sia sparita dalle scene per molti anni. I motivi possiamo solo ipotizzarli: Zarathustra citava Nietzsche, auspicava un ritorno ad un mondo antico ed incontaminato (tema caro alla destra, chissà poi perché), e sulla copertina dell'album c'era Mussolini.
Inutile fornire spiegazioni, vista la situazione socio-politica dell'epoca. Il Museo Rosenbach è stato fatto sparire in fretta e furia. Il batterista Giancarlo Golzi si ricicla nei Matia bazar. Gli altri membri del gruppo fanno perdere le proprie tracce. Con l'avvento del digitale, nei primi anni '90 vengono riesumate registrazioni inedite, all'epoca passate sotto silenzio, e grazie ad internet il Museo Rosenbach viene riscoperto (soprattutto all'estero). Nel 2000 c'è un ritorno un po' in sordina, con Exit, e con una formazione che si discosta dall'originale. Nel 2012 c'è il ritorno vero e proprio, con Zarathustra live in studio, e nel 2013 Barbarica. Genere musicale: il progressive rock di matrice sinfonica degli esordi, aggiornato e reso più aggressivo, ma sempre caratterizzato dalla scrittura anticonformista del controverso tastierista Alberto Moreno, dalla voce graffiante ed urlata di Stefano "Lupo" Galifi, e dalla solida e raffinata trama di batteria di Giancarlo Golzi. E con alcuni giovani innesti che spostano il baricentro musicale più verso le chitarre che sulla tastiera. Contenuti: né più né meno che quelli degli esordi. Uno scenario apocalittico in cui il pianeta è vittima della sua stessa barbarie e, mentre da una parte la Terra continua a fornire amorevolmente i propri frutti, gli esseri umani se li contendono attraverso guerre sempre più cruente, seguendo un'evoluzione che spinge verso la barbarie e la crudeltà tipica di una civiltà primitiva, anziché evoluta come dovrebbe essere. Lo scenario è descritto nella complessa suite iniziale Il respiro del pianeta, che dura un quarto d'ora e costituisce nel suo insieme una mini-opera sinfonica. Il brano iniziale è il più riuscito dell'album e ha una consistenza invidiabile. Gli altri quattro brani, tutti sui sette minuti, a volte si perdono un po'. La coda del diavolo è un brano che si divide nettamente in due parti: la prima è un elogio alla passività e alla pace che si ottiene mediante l'accettazione, la seconda narra invece la tensione attiva che porta alla guerra e alla distruzione. Ma la spaccatura (evidenziata anche da una profonda linea rossa nel libretto) è troppo netta e destabilizza un po'. Con Abbandonati (che inizia con una parte in inglese che rende globale il contesto ma che forse era evitabile) i toni virano progressivamente verso il romanzo epico. La violenza della guerra e la sua ripercussione sulla civiltà vengono descritte in Fiore di vendetta, e nella finale Il re del circo rimangono solo le macerie. Il pessimismo cosmico di Nietzsche, sapientemente interiorizzato dall'ottimo Alberto Moreno, si esprime in un messaggio di dolore e devastazione da parte di una civiltà che non ha saputo accogliere i preziosi doni elargiti gratuitamente dalla Terra.
Barbarica è un'ottima testimonianza da parte di chi, dopo quarant'anni di attività, ha ancora un messaggio da portare. Un messaggio di dolore e di speranza, di evoluzione e di ritorno all'antico, e che stavolta non vuole farsi rinchiudere all'interno di alcuna collocazione politica (anche perché difficilmente qualche vero esponente dell'attuale destra dilagante riuscirebbe a concepire un album dall'analisi sociale e culturale così approfondita). 

Intervista e recensione di Marco Maresca

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Il 2013 è stato un anno fondamentale per gli appassionati del rock progressivo italiano: è uscito Barbarica, album con cui il Museo Rosenbach, mostro sacro degli anni '70, ha sancito prepotentemente il proprio ritorno sulle scene con formazione e contenuti che segnano una continuità con gli esordi di Zarathustra. Continuità che non c'era nell'album Exit, del 2000, che differiva per stile musicale e per l'assenza dello storico cantante Stefano "Lupo" Galifi. Nel 2012 l'ottimo Zarathustra live in studio lasciava presagire le potenzialità per una seconda vita artistica del Museo Rosenbach. E infatti Barbarica ha stupito positivamente. Abbiamo avuto il piacere e la fortuna di dialogare con una band che per alcuni è mitologica e questo è quello che ci siamo detti.

Prima di parlare di Barbarica, è necessaria una breve introduzione. Gli appassionati concordano nell'indicare Zarathustra come uno dei massimi vertici del genere progressive rock. Anche l'autorevole sito internet Prog Archives cita il Museo Rosenbach e l'album Zarathustra come fondamentali. In un mondo in cui il 99% della musica passa inosservato o viene dimenticato, siete consapevoli che la vostra produzione musicale, per quanto di nicchia, rimarrà praticamente scolpita nella pietra? Come ci si sente ad aver fatto qualcosa che vi sopravvivrà?
Fa piacere! Anche la più piccola pietra fa parte della piramide. Siamo anche un po’ stupiti nel vedere il Museo inserito in elenchi nei quali ci sono gruppi come Pink Floyd, King Crimson, Genesis, Yes ecc. Quando eravamo in cantina a sezionare le opere di questi maestri per assimilarne il sound, non abbiamo mai considerato possibile un simile risultato.

Parliamo del presente: Barbarica. Un concept album come non se ne vedevano da tempo, con una scrittura molto solida. Si ha come l'idea che il materiale fosse già pronto da tempo. E' davvero così?
Un album ha una gestazione di 3 o 4 anni; non avendo contratti discografici da onorare i tempi si dilatano e il materiale subisce numerose trasformazioni. A volte certe songs spariscono e altre appaiono necessarie alla realizzazione del progetto. L’elemento che porta ad una chiarificazione è il concept: ciò che si vuole dire, il messaggio centrale di tutto il lavoro. Nel caso di Barbarica il Museo voleva rappresentare due temi ben precisi: la guerra e le condizioni ambientali del nostro pianeta, considerati entrambi due problemi essenziali alla sopravvivenza dell’uomo. La coda del diavolo è stata scritta nel 2002 ma ha subito innumerevoli adattamenti; abbiamo risuonato Abbandonati e Il re del circo, due brani del nostro album Exit del 2000, perché i loro testi sviluppavano perfettamente il discorso che volevamo fare; abbiamo rifatto Fiore di vendetta, che è del 2003, per la stessa ragione. Il respiro del pianeta invece è più recente: è stato costruito sostanzialmente da tutta la band nell’attuale formazione; è un brano che dal punto di vista compositivo, può essere considerato corale.

Il nuovo disco si distingue per sonorità estremamente moderne, per quanto i rimandi agli anni '70 siano comunque chiari. E' evidente quindi l'attenzione nei confronti dei suoni del presente. Quali artisti hanno arricchito il vostro bagaglio musicale in questi ultimi tempi?
Per rispondere in modo enigmatico si può dire che ascoltiamo tutto e niente. Ciascuno di noi ha il proprio mondo che elabora quando propone le soluzioni musicali; Giancarlo fa valere la sua enorme competenza  nella musica pop, Alberto insiste sul colore etnico, Lupo canta il rhythm & blues, Max e Sandro portano il contributo di un hard rock con venature blues, Fabio imposta il suo contributo su strutture classiche e sul rock sinfonico, Andy inserisce il gusto di oggi, della generazione che non ha seguito direttamente gli antichi classici ma che sente propria l’energia dei Clash, dei Green Day e dei Muse.

I nuovi innesti Max Borelli e Sandro Libra alle chitarre, Fabio Meggetto alle tastiere e Andy Senis al basso forniscono una notevole solidità a Barbarica. Come avete scelto questi musicisti? Dove li avete trovati?
L’attuale Museo Rosenbach è nato nella cerchia delle amicizie personali. Ci conoscevamo da anni ma ognuno era impegnato in progetti musicali diversi. Quando nacque l’idea di registrare dal vivo tutto Zarathustra i tre membri “storici” cercarono un chitarrista e un tastierista che dovevano sostituire Enzo Merogno e Pierluigi “Pit” Corradi non disponibili per ragioni professionali esterne alla musica. Si rivolsero a Fabio Meggetto e a Sandro Libra che avevano già suonato insieme un paio di volte. Quando si accorsero della necessità di rafforzare l’organico per rendere dal vivo il sound che avevano creato con le sovraincisioni entrò nel gruppo Max Borelli. Moreno e Golzi poi seguivano da tempo un giovane bassista/cantante  di grande talento: Andy Senis; Alberto decise di lasciare il ruolo del basso a lui per completare la sezione tastiere. Doppiare le chitarre e le tastiere ha portato a quella solidità che la critica ha rilevato.

Il tema di Barbarica sembra essere quello di una civiltà che regredisce ad uno stadio primitivo di barbarie, alla quale però la Terra risponde con la vitalità e l'amore di una grande madre. E' un riferimento ai tempi in cui viviamo? C'è possibilità di salvezza e di redenzione?
Barbarica vuole suggerire che il progresso tecnologico, la modernità in genere, sono ottimistiche illusioni che vengono spazzate via da una visione realistica di come l’umanità si comporta. Risolvere i problemi con la forza bruta è primitivo, è il segno che l’istinto di sopraffazione prevale ancora sulla ragione nonostante secoli di civiltà. Costruire il progresso sulla distruzione dell’ambiente è pericolosamente sciocco e gravemente egoistico, poco sensibile al futuro delle nuove generazioni. Tematiche importanti che ovviamente, in un lavoro musicale, possono essere soltanto indicate.
Il taglio che abbiamo dato ai testi suggerisce un discreto ottimismo per quanto riguarda la problematica ecologica: il pianeta è forte e vitale, in grado di assorbire i nostri errori. La guerra invece sembra un vizio radicato nei popoli; l’odio è ancora il male più diffuso. La salvezza ci appare ancora lontana.

Il tema del ritorno ad un mondo meno civilizzato e più naturale è praticamente una costante della vostra produzione. Si traduce anche nelle vostre scelte di vita? La vostra sofferenza nei confronti del cosiddetto mondo civilizzato trova sfogo solo nella musica o qualcuno di voi ha effettivamente orientato la propria vita in tal senso?

Non desideriamo un mondo meno civilizzato; sarebbe un’ingenuità. Le nostre esistenze sono perfettamente integrate nell’ambiente tecnologico; nessuno di noi pensa di ritirarsi in una comune agricola ma tutti pensiamo con orrore ai massacri che si ripetono quotidianamente e di cui siamo testimoni impotenti; e tutti restiamo attoniti quando apprendiamo che un incidente nucleare stermina la vita in una determinata zona per millenni.

Il già citato tema del ritorno al mondo degli antichi è da sempre considerato di destra, chissà poi perché. Tanti anni fa la questione per voi è stata ancora più complessa: è bastato riferirsi a Nietzsche ed inserire Mussolini in copertina per essere citati come fascisti. E' così? Vi riconoscete in qualche ideologia?

Il Museo Rosenbach si è formato in una fase storica molto politicizzata in cui le ideologie si confrontavano aspramente; nessuno di noi, tuttavia, ha pensato di realizzare una musica schierata in senso reazionario o rivoluzionario. L’incidente/equivoco che ci ha coinvolto è stato il risultato di un’ interpretazione superficiale del nostro lavoro. Riconosciamo che la copertina del disco, così nera e con il busto di Mussolini, si prestava ad essere etichettata “fascista”. Il riferimento a Nietzsche, poi, che in quegli anni era considerato erroneamente l’ideologo del nazismo, ha ulteriormente peggiorato la situazione. Ricordiamo però che nelle note di copertina dell’album avevano indirizzato l’ascoltatore sul modo in cui avevamo affrontato il pensiero di questo filosofo.

Come mai tanti anni di silenzio dopo Zarathustra? A parte Giancarlo Golzi, che ha avuto una carriera di successo coi Matia Bazar, gli altri membri storici Alberto Moreno e Stefano Galifi cosa hanno fatto quando il Museo Rosenbach non era in attività?

Moreno è diventato un insegnante di filosofia ma è rimasto nell’ambiente musicale collaborando con i Matia Bazar; Galifi ha aperto un pub a Genova dove si esibiva quasi tutte le sere in un repertorio rhythm and blues. Nessuno di noi avrebbe immaginato di risuonare Zarathustra on stage!

Come vi rapportate con gli altri mostri sacri del prog italiano? Siete amici di gruppi come Le Orme, PFM e Banco? Vi vedremo sul palco con qualcuno di loro prossimamente?

Conosciamo personalmente Franz Di Cioccio e Francesco Di Giacomo. Come Museo abbiamo suonato solo con la PFM partecipando alla manifestazione prog che si è svolta a Roma nell’estate scorsa. Siamo sempre stati ammiratori del Banco e riconosciamo nelle Orme il primo gruppo italiano che ha esplorato il sentiero del progressive.

Ultima domanda: il vostro ritorno è "una tantum" o siete tornati per restare?La seconda che hai detto.

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