14 novembre 2013

Ecco il secondo atto della saga di Radical face, il progetto di Ben Cooper, musicista statunitense esploso grazie a uno spot

Non mi stupirei se il brano Holy Branches fosse già nelle vostre sante orecchie. Ora anche videoclip giocato tra presenze evocate dall'aldilà e ironia da Radical Face (aka Ben Cooper).
Lui è un alt-folk singer che arriva dal sud degli Stati Uniti (Jacksonville, Florida) portando con sé un “bagaglio” pieno di strumenti d'altri tempi. Ha anche una bella faccia simpatica che si presta con facilità nei suoi videoclip. Si era già fatto notare qualche anno fa con la musica della pubblicità Nikon  (Welcome Home) e per le colonne sonore di serie televisive come Private practice e Skin.

Fortissimo il suo legame con le origini di tutto e nel caso di questo album e del precedente con gli strumenti musicali che venivano usati nel passato.
Radical Face va dritto per la sua strada in questo mondo ad altissima tecnologia (con i suoi pregi e i suoi numerosi difetti) dando in un certo qual modo una lezione di originalità scegliendo i suoni che dal passato riempiono il presente di calore, meditazione e calma interiore. Ha registrato l'album nel capanno dietro la casa della madre a Jacksonville.
Se vi piace il folk-rock, ma a maggior ragione se non vi piace, Radical Face e il suo album riescono a lasciare il segno.
L'artista ha prima creato un albero genealogico sul quale ha poi basato l'intera opera che nasce come trilogia. Iniziata con The family Tree: The Roots, è ora al secondo episodio della saga appunto con il nuovo album The Family Tree: The Branches. La particolarità del suo lavoro è legata soprattutto all'utilizzo di strumenti che venivano utilizzati nell'era di ambientazione, in questo album si va dal 1860 al 1910.
Lo stesso Ben ha spiegato in poche parole il suo lavoro:”mi piace raccontare storie e volevo che questo fosse l'elemento principale. Ho esaminato alberi genealogici e studiato un po' di storia americana per avere qualche riferimento, poi ho attinto dalle esperienze personali e ho unito tutto”.
Gray skies è la intro nel vero senso della parola, ha tutta l'aria di essere un'evocazione di anime dall'aldilà che aprono il disco per portarci subito al sopracitato Holy Branches.
Il disco (dodici tracce) è tutto da seguire con le sue magiche atmosfere. In Chains le catene ci sono davvero e si sentono (saranno di qualche fantasma che si aggira tra i solchi del disco??). Piacevole Letters Home, ma dopo Southern snow cerco di immaginare come potrebbe essere il paesaggio del Sud degli Stati Uniti (la Florida nel caso di Ben) se nevicasse. In questo pezzo Cooper riesce a dare un suono perfino ai fiocchi di neve.
We all go the same è il brano di chiusura, con tutta la sua inquietudine.
La fine che porterà a un nuovo inizio di storia su questa famiglia dell'albero genealogico nel prossimo album della trilogia. Alessandra Terrone

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