9 ottobre 2013

Al nuovo disco dei Marlene Kuntz servirebbe più umiltà

I Marlene Kuntz si scusano per il ritardo, si sono presi il tempo di cui avevano bisogno, ben tre lunghi anni, prima di tornare con il nuovo disco: Nella tua luce. E scusate anche il mio ritardo nello scrivere questa recensione ma anch’io, come loro, mi sono presa il tempo necessario; del resto un album con un titolo del genere richiedeva (e meritava) d’essere ascoltato con attenzione fino a scoprirne, coglierne, e comprenderne ogni singolo dettaglio, anche quello più nascosto. Nel frattempo, mentre ascoltavo, sentivo ogni genere di commento sul disco, e non sono mancate le critiche pesanti. Chi mi conosce, sa che ho un’adorazione per Cristiano Godano e i Marlene Kuntz, quindi aspettatevi di leggere solo (o almeno, quasi) parole belle.

Non si tratta di un capolavoro, bisogna essere onesti, ma Nella tua luce è un lavoro validissimo con un’eccezionale cura sonora e con degli arrangiamenti davvero superbi, un lavoro sincero ed onesto ai quali i Marlene hanno lavorato con passione e dedizione, si sente. Un disco maturo, da ascoltare con un buon paio di cuffie per cogliere quei dettagli che sono segno che i Marlene credono fermamente in quello che fanno (tanto da esserselo prodotto in forma autonoma, senza l’ausilio di nessuna casa discografica). E’ un disco equamente diviso tra sfuriate rock e momenti intimi e delicati. Diciamolo, c’è chi li vuole rock, c’è chi li vuole lirici, come per ogni band con un passato importante alle spalle ci sarà sempre qualcuno che spiegherà come devono essere e come suonano meglio: qualcuno vorrebbe ancora Sonica (c’è sempre qualcuno che vuole ancora Sonica e si preoccupa di dirlo appena può), ma la verità è che l’esperienza premia e Nella tua luce lo dimostra. I Marlene del 2013, a quarant’anni suonati, sono artigiani della canzone come ce ne sono pochi in Italia.
Ascoltare Nella tua luce è come aprire un libro di racconti, immergersi nei meandri e perdersi tra le poetiche parole e i suoni evocativi costruiti attorno ai tanti personaggi che abitano il disco, ogni canzone racconta una storia ed io ho deciso, in questa recensione, di assegnare un aggettivo, o comunque una definizione, a ciascun brano. I temi centrali sono: la donna salvifica e musa ispiratrice dell’anima (tema ormai classico nella scrittura di Godano), la letteratura, la scrittura e il suo rapporto con lo stato d’animo di chi la scrive, i drammi sociali del mondo contemporaneo.
Ed è proprio una donna ad aprire il disco nel primo brano, Nella tua luce, che dà il titolo all’album; troviamo una contemporanea Beatrice dantesca a condurci in mezzo alla selva oscura di una civiltà caotica che è illuminata solo dalla presenza femminile umana (e al contempo diafana), dal suono delle arcate del violino e dal respiro caldo delle parole, insomma dalla bellezza. Bellezza che si lega indissolubilmente alla poesia, si rimane piacevolmente sorpresi nel cogliere infatti che i riferimenti nel testo spaziano anche nella Clizia di Eugenio Montale. Donna angelo messaggera divina, donna come trasfigurazione poetica del disegno di Dio, è questa la definizione che il poeta dà di Clizia nella raccolta di poesie Le occasioni, e questa è la definizione di donna che dà Cristiano Godano: “io sono qui, rivolto a te mia Clizia che volgi al sole le tue virtù. E me ne resto qui: primizia è il tuo miraggio d’essere con Dio a tu per tu”, magistrale.
Si passa poi a Il genio (l’importanza di essere Oscar Wilde) e qua parte la dissonanza. Non bisogna essere dei letterati colti per cogliere l’evidente riferimento letterale (Oscar Wilde lo conosciamo tutti), e su ciò nulla da rimproverare ai Marlene, ma resta il fatto che secondo me qui Godano ha voluto esagerare un po’ mettendo insieme una serie di aforismi di Oscar Wilde col tentativo di dare vita a un testo, “non avere niente da dichiarare eccetto che il proprio algido genio, il proprio fulgido genio”, il risultato è poco convincente e di geniale c’è ben poco. Il genio lasciamolo ad Oscar Wilde ed alle sue opere. Perdoniamo Godano (chissà, forse quando ha avuto l’ispirazione era ubriaco o, come direbbe lui, ebbro!), apprezziamo Riccardo Tesio che dà un pregevole tono movimentato al brano grazie a un roccioso riff di chitarra, e andiamo oltre. Intanto, la definizione che si prende Il genio è: pretenziosa (per non dire sgradevole).
E’ la volta di Catastrofe e del suo protagonista, Joele, costretto dalla vita a diventare clochard. Su dichiarazione di Godano, il brano è nato  in un periodo in cui gli capitava di fare la spola tra Milano e Roma, e passando per la stazione Garibaldi gli capitava di vedere in strada un tizio accompagnato da cumuli di cartone e da oggetti raccolti nel corso della vita e che raccontavano la sua storia. Il brano parte con una chitarra armoniosa e sfocia in un rullante suono di batteria che impegna Luca Bergia,  il risultato è un brano piacevole all’ascolto ma altrettanto crudo nella lettura, “come va, Joele? E come va la tua catastrofe? Sei sempre là, ai portici? Al gelo che ti logora senza limite? […] Oh, la mia solidarietà mi nausea perché è inutile”. I versi finali sono una sorta di grido disperato di chi si rende conto che non è in grado di fare nulla di veramente utile per andare incontro a chi si trova in situazioni di degrado, di chi vive la deriva lenta verso i margini della vita. Basta guardarci attorno ogni giorno, quanti Joele ci passano sotto gli occhi? E’ un brano realista (tremendamente).
Allontaniamoci per un istante dai temi attuali per rifugiarci ancora nella poesia e tuffiamoci nella delicatezza di Osja, amore mio che ci permette di fare la conoscenza di altri due personaggi: il poeta russo Osip Mandel'stam e sua moglie. Osip è considerato uno dei più grandi poeti della letteratura russa del ventesimo secolo (passione, quella per la letteratura russa, già espressa da Godano in Uno coi numerosi riferimenti a Vladimir Nabokov) e la sua storia personale è stata tragica: fu mandato a morire nei gulag da Stalin perché aveva scritto una poesia contro di lui. Il testo di Osja è un’istantanea scattata dalla parte della moglie del poeta la quale, in un mirabile slancio amoroso, imparò a memoria le poesie del marito, un po’ perchè tenerle in casa poteva essere pericoloso ma soprattutto per mantenere viva l’opera di Osip e poterla tramandare alle generazioni future, “tutto imparerò di te, a memoria tutto conserverò, anche un foglio è colpevole fra gli spettri della crudeltà che è intorno a noi, […] ostinata tua discepola sempre dentro me ti porterò”. Che effetto volete che faccia un brano che ha alle spalle una storia di tale bellezza? E quale definizione gli si addice se non…commovente.
La bellezza continua, e viaggia alla grande sfrecciando su un’autostrada a corsie larghe, con Seduzione. Brano che promette bene a cominciare dal titolo e dall’intro musicale, cullante e armonioso nel principio ma che arriva poi a sfiorare lo sconquasso dei tempi di Catartica e che, vi assicuro, lascia un segno indelebile. Quando Cristiano Godano affronta il tema della seduzione nei suoi brano il rischio è che possa passare per il marpione intellettualoide odiato dai maschi, lo so. Ma le femmine apprezzano, e i maschietti che sanno andare oltre apprezzeranno anche, ne sono certa. Ciò che rende questo brano il mio prediletto è il riferimento che Godano fa sulla scelta delle parole quale scelta fatta per amore, parole selezionate e sviscerate in ogni loro significato, immediato e latente, scritte, pronunciate, indirizzate, solo per amore, “scegliere i giusti aggettivi emozionati per dare corpo ai pensieri più vivaci e farli risplendere come il sole…è un gesto che chiamo seduzione”: sublime.
E poi ecco Adele, altra donna a dare il titolo al sesto brano. Qui l’inizio è brillante, melodico e dolce ma si incupisce successivamente. Già, perché qui i Marlene toccano un altro tema triste e purtroppo attualissimo, lo stalking, “sorride agli alberi, ai verdi angoli e alle calendole del parco civico. E’ assai triste perché tutto è finito ormai, anche la vitalità; perché è un mondo indecoroso e insidiosi guai sono pronti a sopraggiungere”: incantevole (nonostante tutto).
Appare Su quelle sponde e riappare il tanto amato tema di Godano (e anche mio) della scrittura, stavolta come terapia conoscitiva di se stessi e conseguente forma prediletta di esternazione, eternamente viva, nobile e mai fuori moda. Una cavalcata rock dove il filo conduttore è il giro di basso che scava nell’intimo profondo e scandisce, ritmando e intervallando, il rapporto che c’è tra scrittura e chi scrive: “trasformerò le mie pene in versi accesi e fatti musica per una resa che non tema di agguantare qualche candida verità […], di certo mi conoscerò sempre un poco più di prima, probabilmente schiverò l’eventualità meschina della mediocrità”: introspettiva.
Facciamo la conoscenza con un personaggio antipatico, Giacomo eremita (che poco ha a che fare con l’omonimo illuminato profeta dei testi sacri), vanitoso e inopportuno, Godano ce lo fa odiare dal principio equiparandolo al Vincenzo della famosa canzone di Alberto Fortis, “se non taci io ti ucciderò!”, il tutto condito da un bel sound rock. Sì, mi piace. Anche se è cattiva.
Senza rete merita per l’immenso spazio strumentale dell’inizio che mi ricorda tanto Spora n. 7 dei tempi di Ho ucciso paranoia, “scaraventarsi giù a mille all’ora e anche più, estasi e immensità del senso di libertà”: epica.
Incontriamo la protagonista di La tua giornata magnifica, “tu vuoi un’atmosfera bellissima perché ami quello che fai, oggi è la tua giornata magnifica e nulla la rovinerà [...] per te qualcosa è terribile ma ci doni felicità”, una ragazza sublime e misteriosa mossa da andrenalina e tranquillità che porta i suoi pensieri tormentati (e anche l’ascoltatore) in quei meandri della mente in cui regna la pace: contemplativa.
E infine, Solstizio, che abbiamo imparato a conoscere in quanto primo brano rilasciato e diffuso proprio il giorno del solstizio d’estate, il più lungo dell’anno, quello con meno ombra, eppure per contrasto Cristiano narra delle ombre che gli si agitato dentro, anche se “non c’è ombra, no non c’è, oscurità che giustifichi quel che accade a me” perché “io non sono un’isola completa in sé, sono anch’io nel continente”, l’inquietudine lascia spazio all’energia positiva e l’ansia lascia spazio all’eccitazione: pacifica.

Insomma, Godano si è incamminato su un sentiero dove non ci sono più buche, chiarito che la direzione presa sia quella giusta, sarebbe bello capire quali motivi abbiano mosso i Marlene Kuntz ad abbandonare i precedenti registri di scrittura, oscuri e complessi, per quelli attuali, luminosi e lineari, sempre profondi. Resta il fatto che Cristiano e compagni presenteranno l’album a novembre, in tre concerti che si terranno a Moncalieri, Trezzo sull’Adda e Roma, per il tour vero e proprio se ne parla l’anno prossimo; per chi c’è ci si vede a Trezzo e sarà l’occasione per testare l’album dal vivo e magari riuscire a fare a Cristiano qualche domanda, perché no?! Sonia Stevanini

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