6 marzo 2012

Kali ci parla delle sue "Canzonette per narcisi isterici"

Federica Folino, in arte Kali, è una giovane cantautrice che vive nei pressi del lago d’Orta. Ha recentemente pubblicato un EP intitolato Canzonette per narcisi isterici, che ha saputo stupire per una freschezza ed un’abbondanza di idee decisamente inusuale, di questi tempi, per un’artista emergente.
Abbiamo avuto il piacere di incontrarla per una breve ma intensa intervista. La cosa che stupisce maggiormente di Federica è una chiarezza di idee pressoché totale su chi è e chi vuole diventare. Tutto ciò unito ad umiltà, simpatia e piedi ben piantati per terra. Riportiamo alcune parti della nostra piacevole chiacchierata.


Federica, la prima cosa che salta all’occhio del tuo progetto musicale è che hai composto e suonato tutti i brani, ed ognuno di essi mostra una certa maturità. La tua storia musicale ha probabilmente origini lontane, ci puoi spiegare quindi com’è iniziata? Il rapporto col palcoscenico è nato presto: ho studiato danza classica dai sei ai quindici anni. Poi nel mio universo musicale è entrata Madonna. In quel momento ho avvertito l’esigenza di evolvermi nel mio modo di esprimermi: sempre attraverso un palcoscenico, ma con la musica. Ho iniziato a scrivere testi e melodie a partire dai quindici anni. Solitamente nello sviluppo dei brani mi aiuto con una chitarra, che però so suonare solo a livello base. Poi perfeziono il tutto coi musicisti che suonano con me, ed inserisco i synth, con cui mi posso esprimere al meglio, dando ai brani le mie sonorità tipiche.  Molti artisti emergenti ascoltano gli Afterhours e vogliono riprodurre i suoni e le parole che trovano nelle loro canzoni. Io parto un po’ dai “classici” utilizzando poi, però, delle sonorità che siano soltanto mie, adatte ai messaggi che voglio comunicare. Su questo sono consapevole di avere delle idee molto chiare.

Per promuovere i tuoi brani sono stati già realizzati due videoclip, Dolci puttane e Narciso isterico. Parlaci del tuo rapporto con i video. 
Fare un video non ha un costo elevatissimo, al contrario di quanto si possa pensare. Si può realizzare un buon video con un budget veramente basso: l’importante è avere un’idea. I Daft Punk hanno fatto un video, per Harder better faster stronger, in cui venivano inquadrate soltanto delle mani, e l’idea era buona. I videoclip vengono realizzati per motivi promozionali, ma ciò non è un male: dopotutto siamo  nella società dell’immagine e ne siamo vittime, essendo nati a cavallo tra gli anni ’80 e ’90. Il video di Narciso isterico, ad esempio, è a basso costo ma esprime bene il tema della canzone. C’è un uomo con una piramide di specchi che gli copre la faccia. Vuole fare il “narciso”, mettendosi in evidenza per tutta la durata della canzone, ma in realtà si copre. Chi lo guarda si vede riflesso nello specchio. In realtà l’osservatore vede in lui il proprio riflesso.

Cosa vuol dire per te essere un “narciso”? Che connotazione dai al narcisismo? Narciso isterico è una canzone molto critica che parla del “narciso”, per definizione, che ha monopolizzato l’Italia negli ultimi vent’anni. Spiegata così, sembra una canzone un po’ politica, ma c’è altro. Questa persona è uno specchio in cui ognuno di noi ha visto il proprio riflesso. La “sindrome del narciso isterico” ha una varietà di sintomi, in alcuni dei quali tutti ci rispecchiamo. Servirebbe, forse, un po’ di autocritica. Se sono consapevole di ciò che non va in me, posso criticare, forse, con più onestà. Anche in Dolci puttane si parla dello stesso tema. Mi trovavo a Milano a registrare in uno studio situato in una zona periferica. Lungo la strada era pieno di “signorine”, e io notavo che avevano tutte uno sguardo molto dolce. Poi, invece, ci sono tante donne che non fanno quel lavoro e si sentono migliori ma, inspiegabilmente, hanno tutt’altro sguardo. Senza alcuna dolcezza. Fa riflettere, no?

Com’è il mondo della musica in Italia? E’… tanto!  Hanno aperto le gabbie, ci sono molte proposte ma è difficile resistere a lungo. La differenza la fanno quei progetti che sopravvivono a lungo termine. Chi arriva per lo meno al secondo album, mostrando un’evoluzione, un passo in più. L’Italia musicale l’ha rovinata la De Filippi: grazie a lei ora tutti possono cantare. In realtà servirebbe avere un messaggio da esprimere cantando. Personaggi come Valerio Scanu e Marco Carta vengono utilizzati dal mondo musicale. Vengono buttati in un mondo, per un certo periodo, e poi ne vengono tolti. Chi ha qualcosa in più, invece, rimane.

Emma?
Preferisco Nina Zilli o Arisa, se proprio dobbiamo rimanere in ambiente sanremese. Ma la musica non è competizione. La musica è riuscire ad esprimere quello che si vuole, ognuno a modo suo.

E tu come ti collochi nel mondo musicale? Quali sono le tue fonti di ispirazione? A chi somigli?
Io ascolto molta musica italiana, Battiato, Baustelle, Afterhours. E poi Portishead, Blonde Redhead, Mark Lanegan, Radiohead. Però mi dicono che assomiglio a Cristina Donà, che non ho mai ascoltato! E Ustmamò, che non so neanche come si pronunci! Ho preso lezioni di canto nei primi anni 2000. All’epoca tutti gli insegnanti cercavano di portarmi verso la black music, ma non mi interessava, ma non è quella la musica che mi appartiene. Allora ho dovuto percorrere una strada tutta mia, basandomi sull’ascolto. Ma quando ascolti troppo certe cose, poi ti influenzano in un modo limitante. Alanis Morrisette, Elisa, ora non riuscirei più ad ascoltarle. Non possono essere punti di riferimento: si rischia di rimanere intrappolati in quel cantato anni ’90. Ho dovuto percorrere una via più personale, forse ora assomiglio a cantanti meno canoniche.

Blonde Redhead?
Loro sono uno dei miei riferimenti. Se mi dici che ascoltandomi te li ricordo, significa dalla mia musica e dal mio modo di cantare emerge ciò che voglio esprimere. Ma la  miglior voce dal mio punto di vista è Beth Gibbons dei Portishead

Una provocazione: Cristina D’Avena? Con la certezza di non essere il primo che te lo chiede.
 Sapevo che me l’avresti chiesto. Me l’hanno già detto, specialmente per il finale di Narciso isterico. Però non è un’influenza consapevole. Comunque, le sigle dei cartoni animati molto spesso diventano dei tormentoni e si ricordano facilmente, quindi va bene.

Come ti vedi da qui a cinque anni?
Con un album, fatto in un certo modo, e che va in un certo modo. Non me ne frega di diventare una rockstar, di fare il botto. Vivere di musica, però, sì. Dedicarsi totalmente alla musica. Ma bisogna comunque essere concreti. A fare un album completo c’ero andata molto vicina tempo fa, ma era stato registrato in tre sessioni differenti, con musicisti differenti. Non era un progetto unitario: era disomogeneo, non mi convinceva. Per adesso funziona meglio l’EP, perché abbiamo appena iniziato a crearci la nostra strada. Dopodiché sarà importante fare un buon album. Un esordio fatto bene. Per quanto riguarda le major ci siamo incontrati, non è così impossibile come si può pensare. Ma non è quello il problema. La questione è trovare un’etichetta che accetti di supportarti , e perché ciò accada il lavoro dev’essere valido. Per quanto mi riguarda vorrei poter lavorare al primo album con la tranquillità che è mancata nel precedente tentativo, visto che stiamo cercando di trovare il nostro suono. E poi sarebbe bello promuovere il disco e fare tantissimi concerti.
  
Di concerti ne fai parecchi anche adesso. Per concludere, quindi, parlaci un po’ del tour.
Appena lanciato l’EP per fortuna abbiamo trovato subito dieci date, che toccano anche il Sud Italia: Marina di Gioiosa Ionica, Benevento, Lecce e molti altri posti. Sono molto contenta perché inizialmente ero preoccupata proprio di non trovare date. Saranno live completi, da un’oretta circa, con tutto il nostro repertorio più due o tre cover.

Marco Maresca 

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