19 dicembre 2010

'Ascolti emergenti' di dicembre, terza parte

Lenula - Lenula ***
Ho ascoltato con interesse questo EP dei Lenula, band che nasce a Villa Castelli (Brindisi) e che inizia la sua attività nell’ottobre del 2007 partecipando a numerosi concerti in locali e manifestazioni pugliesi.
I loro autori di riferimento, talvolta ancora presenti nei loro concerti con originali omaggi, sono stati Paolo Conte, Tom Waits, Fred Buscaglione, The Doors, Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti, e queste influenze direi che si sentono in tutto il lavoro. Mischiano così del blues e dello swing ad un rock più cupo grazie anche alla voce calda del cantante. Lenula è un fiore selvatico e selvatico definirei anche questo trio. Marco Colombo

Lilith - Note a margine ***
Dopo 10 anni di attività e a ben quattro anni dal pecedente album Una diversa abilità, tornano i Lilith con Note a margine, registrato da Manuel Volpe al Red House Recording di Senigallia.
Questo album mi è piaciuto poichè spazia da sonorità rock a suoni decisamente più melodici e pop, con testi anche molto originali ed intensi. Anche la scrittura cantautorale è davvero originale e mi ha ricordato qualcosa del migliore cantautorato. Tra le mie preferite Città visibili, molto romantica parlando di città come Milano; La prossima generazione, bellissima con quel ritornello “La bellezza non si crea ma si distrugge/ più di un bene è un lascito” , dove la voce di Emanuele Principi raggiunge note alte e intense: Nido curiosamente mi ha ricordato gli Interpol; M-theory molto ritmata e incalzante. Un altro brano La notte che... comincia in sordina e poi sfocia in un ritornello davvero intenso con chitarre presenti ed un testo romaticissimo; la mia preferita As-Sumut vede l’incedere sapiente delle chitarre e la voce che sa davvero emozionare.
Davvero un gran bel disco, vario e originale, ben suonato. Marco Colombo

Juta - Running through hoops *****
Delicatissime impronte lasciate sulla neve e subito ricoperte da candidi fiocchi. Paesaggi sterminati dove il brugo è sferzato dal vento, poi all'improvviso ecco un bosco, con un rapace che maestoso e silente vola tra le conifere ai piedi di una montagna. Queste immagini descrivono a meraviglia il disco di esordio di Juta, Running through hoops.
Il disco, inciso in Canada da Howard Bilerman, già batterista degli Arcade Fire e musicista e collaboratore per Thee Silver Mount Zion, Basia Bulat, Gospeed You! Black Emperor e Vic Chesnutt, ha suscitato paragoni ai lavori di Cat Power, Mazzy Star e Beth Gibbons dalla stampa tedesca e belga. Dietro a questo progetto italo-canadese troviamo Pietro Canali (già al piano wurlitzer con Moltheni), Barbara Adly, Ettore Formicone, Dario Mazzucco e Pierluigi Aielli. I punti di forza di questo lavoro sono lo splendido fraseggio tra la delicatezza vocale di Barbara e i morbidissimi tappeti sonori disegnati dalla musica: un dialogo continuo che chiama in causa anche l'ambiente come componente aggiuntivo della band. L'immaginazione vola in territori sconfinati e selvaggi, come in Marigold o nella suggestiva Neon lights.
Il folk si mescola ad una dolcezza dei suoni e del cantato in inglese, rimanda per certi versi ad una dimensione onirica. Un sogno che vorremmo non finisse (come Spoon river) mai e che al suo epilogo ci fa risvegliare ristorati. Un esordio folgorante che piacerà a molti, dai fan dei Sigur Ròs o di Bjork a quanti desiderano una splendida colonna sonora per fare l'amore. Roberto Conti

I Loschi - Se ti va ***
Bello, solare e molto beat questo ep della band novarese I Loschi. Sembra di tornare indietro alle sonorità degli anni in cui i Fab Four spopolavano in tutto il mondo. Il mio pezzo preferito è Se ti va, che dà anche il titolo all’ep, con quel ritornello che ti entra subito in testa.
Jerry Mantovani e Andrea Quaglia arrivando da una band di tributo ai Beatles hanno imparato bene al meglio le sonorità tipiche del quartetto britannico. Il primo brano mi ha fatto venire in mente i primi Fab Four così come anche E non mi dire che. I testi semplici e diretti richiamano proprio quei fantastici anni '60: il tema dell’amore la fa naturalmente da padrone.
Anche chitarristicamente parlando, questo lavoro è suonato e prodotto con molta cura, non ci resta che attendere magari un intero album de I Loschi per sognare ancora che sia tornato anche in Italia quel beat che ha fatto ballare i nostri genitori! Marco Colombo


My own rush - Sogno italiano ***
Dopo più di un assaggio delle loro potenzialità musicali, i Mor arrivano finalmente al primo album propriamente detto, Sogno italiano. Si tratta di un disco composito, dove la band novarese si toglie più di una soddisfazione dicendo la propria su tanti temi come la precarietà sociale, il lavoro, i privilegi dei parlamentari, l'arrivismo delle cosiddette groupies...
Si tratta di un album sfaccettato e fin troppo ricco, in cui si colgono varie anime ed un genere che è tutto tranne che univoco. La prima parte del disco, più "impegnata" tuttavia, è abbastanza pesante e un po' noiosa: l'intro Ho provato guardarmi dentro ma ho preferito restarne fuori è evitabile. La seconda traccia Sogno italiano, che dà il titolo al disco, ha arrangiamenti di chitarra poco originali e dal sapore impropriamente hard rock, stessa cosa per Figlio del mio tempo dove anche la parte vocale poteva essere migliore. Evitabilissime le frasi campionate, anche di personaggi noti (da Sgarbi al commendator "Zampetti") presenti qua e là in tutto il disco. Dopo le note dolenti passiamo ai pregi: tutto il disco è pervaso da un velo ironico che dà merito alla band di non prendersi troppo sul serio e di suonare per il piacere di farlo, con la giusta consapevolezza, e non tanto per intercettare un dato target di pubblico.
La seconda parte dell'album, più punk e scanzonata, si lascia decisamente preferire, con una sequenza Una vita da onorevole/Canto per dispetto/Dad is calling out con un tiro davvero invidiabile. Credo che sia questa la direzione in cui la band riesce ad esprimere al meglio le proprie potenzialità, con sonorità più godibili e ballabili. Interessante anche Milano di notte e Dolce Polly, meno Sixteen (Miss Backstage) dove si potevano trovare altre parole per raccontare la storia di tante ragazzine smaniose di ingurgitare peni di musicisti. Roberto Conti

Nessun commento:

Posta un commento