10 gennaio 2005

Luca Platini - Per un pugno di sogni a tempo interinale o determinato

Premio 'Provincia cronica' prima edizione
Luca Platini - Per un pugno di sogni a tempo interinale o determinato

1
L'orologio appeso alla parete diceva che alle undici mancavano dieci minuti. Quel mercoledì mattina, al bar, c'erano solamente una copia fresca di stampa di Repubblica e Carmela, la proprietaria. Giacomo Scappini aveva già addentato una brioche alla crema quando decise che due bustine di zucchero potevano bastare. Il cucchiaino mescolava il caffè quando cominciò a suonare la cavalcata delle valchirie o una suoneria inadeguata per il cellulare di un cronista di provincia più dedito alla colazione che all'asfalto dei quartieri periferici.
«Ma non si vergogna?»
«Ho smesso, e da anni.»
A comparire sul display fu il maresciallo Ascenzo, il responsabile del nucleo informativo dei carabinieri. Un ufficiale d'altri tempi, tutto d'un pezzo, tanto disponibile con la stampa quanto asciutto nei modi.
«Poco da segnalare.»
«Poco o nulla?» lo incalzò prontamente Scappini.
«Non perdere tempo, Giacomo, e non farne perdere a me. Che ci fai con tre ragazzini denunciati per imbrattamento di muri e due furtarelli di poco conto?»
«Dimmi di più.»
«Ma che hai stamattina?» lo inchiodò il maresciallo.
«Due pagine da riempire, dimentichi?»
«E tu riempile, ma con altro» si fece ironico il maresciallo. «Sta arrivando la bella stagione, perché non senti i gestori delle piscine? Guarda che spunti ti do: così la gente si mette il cervello a mollo e magari la pianta di fare cazzate.»
«Di che cazzate parli?»
«Di tutte quelle a cui assisto ogni giorno.»
«Un giorno tipo ieri?»
«Diciamo tipo ieri» ammise Ascenzo.
«I furti?» domandò Scappini.
«Volendo i furti.»
«Ascenzo, fai il prezioso? Andiamo...»
Il carabiniere sbuffò in segno di resa, apprestandosi a sviscerare un elenco che per Scappini andava assumendo le sembianze di un terno al lotto.
«Una ventisettenne slava, irregolare: l'abbiamo beccata a sottrarre biancheria intima dal giardino di una villetta di periferia.»
«Che tipo di biancheria, maschile?»
«Datti una calmata» tossì il maresciallo. «Sei il solito pervertito.»
«Eh dai, dammi corda, ci faccio un pezzo carino. Già me lo vedo: fermata rom con gravi disturbi di personalità; i militari sventano l'ennesimo furto di boxer in città arrestando una giovane colta in flagranza di sniffo di biancheria... Sai le vendite come s'impennano? E pure altro.»
«Hai finito?»
«Potrei aver appena cominciato, hai fretta per caso?»
«Ok, Scappini, hai vinto tu» s'arrese il maresciallo Ascenzo. «Settantaquattrenne denunciato per furto in supermercato.»
«Che meraviglia: quindi?»
«Esattamente quello che ho detto.»
«Ho capito, ma che ha rubato?»
«Una scatola di pelati, la nascondeva nella tasca interna del giubbotto.»
«Fantastico, da pelle d'oca. Poi?»
«Nulla.»
«Precedenti?»
«Incensurato.»
«Cosa c'è sotto? Insomma che fa per campare?»
«Ma per chi mi hai preso? Torna coi piedi per terra: non ci sono ombre, non ci sono lati oscuri, niente di niente. Solo una tonnellata di disperazione. È a casa, Scappini, pensionato. Dalla società e dal resto» precisò il maresciallo con voce dispiaciuta.
«Continua. Che altro sai?»
«Al direttore del supermercato, che gli chiedeva perché lo avesse fatto, il vecchio ha risposto di aver compiuto il gesto per fame, giustificandosi col fatto che questo mese aveva finito i soldi della pensione anzitempo. Piangeva.»

2
La casa lo attendeva in fondo a una via ombrosa, completamente immersa nei filari di vite. Una villetta anonima di due piani, mura ocra, persiane verdi, un piccolo giardino e una cancellata che dal bianco faceva l'occhiolino alla ruggine. L'uomo, che mostrava per intero le settantaquattro primavere promesse da Ascenzo, lo attendeva in terrazza, con in testa il cappello della festa e l'aria di apprestarsi alla conversazione dell'anno. Forse della vita.
«La ringrazio per aver accettato questo incontro.»
«Si figuri» rispose l'anziano con grande dignità. «Si accomodi pure. Beve qualcosa? Del vino va bene?»
«Sarebbe magnifico.»
L'anziano sorrise largo scomparendo dietro una tenda scura, e lasciando Scappini in panne, investito da una serenità impossibile gestire. Una serenità difficile perché demodè, perdutasi in epoche di vacche abnormemente grasse, sofisticazioni alimentari e sapori senza patria. Uno scenario all'interno del quale Scappini aveva rischiato di affogare più volte, salvandosi solamente grazie a estemporanei appigli, costituiti talvolta da bocconi amari simili a vaccini, tali altre da incontri fortuiti e benedetti. Vedendo l'anziano ricomparire con una bottiglia di rosso priva di etichetta e due bicchieri tanto vuoti quanto promettenti, Scappini aggiornò mentalmente la seconda statistica, accrescendola di una unità.
«Questo vino proviene da un vitigno umile» prese a raccontare l'anziano mentre versava. «Un vitigno nato e cresciuto qui, su queste colline che si espandono fino all'orizzonte di levante. Lo producono in consorzio e in quantità davvero limitate, ormai quasi soltanto per il fabbisogno familiare. È amabile ma anche un po' brusco, generoso in bocca e, perché no, un po' frizzante, in quella maniera sfacciata che meno ti aspetti da un rosso. È un vino autoctono, destinato a vivere e morire dove è nato. Io e questo vino abbiamo molto in comune.»
A Scappini quel vino piaceva, forse perché lo trovava intenso e importante, o forse perché semplicemente sapeva di vino.
«Perché l'ha fatto?»
Per rompere gli indugi il cronista attese che l'uomo smettesse di bere e posasse il bicchiere sul tavolo. Quasi una forma di non belligeranza e di rispetto, nei confronti del vino.
«Perché non ho più il becco di un quattrino» confidò con tenerezza l'anziano. «Non mi crede? Guardi. Le mostrerò quanto ho già mostrato ai Carabinieri. Ecco qua.»
Gli allungò uno scontrino, e d'improvviso Scappini si trovò tra le mani la disperazione di un uomo colpevole di una colpevolezza che a Scappini iniziava a fare paura.
«È stata la mia ultima spesa, una settimana fa» precisò l'anziano. «Ho temporeggiato finché ho potuto. Ieri mattina mi sono trovato senza scelta.»
«Se ne ha sempre una.»
«E quale?» alzò la voce il vecchio picchiando un pugno sul tavolo e rovesciando il bicchiere e le due dita di vino che conteneva. «Di quale scelta parla? Della scelta di vivere con cinquecentocinquanta euro al mese di pensione oppure di restare vedovo? O magari mi sbaglio, e parla della scelta di vedere i propri tre figli voltare le spalle. Tutti e tre, uno a uno.»
Pronunciate quelle parole, l'uomo aveva preso a fissare intensamente Scappini. Non in attesa di una replica, bensì di un perdono.
«Mi scusi, non avrei dovuto.»
«Non ha nulla di cui scusarsi. Sono qui per ascoltare, non per giudicare» abbozzò Scappini ripristinando il vino nel bicchiere. «La prego, prosegua.»
Allora l'uomo si alzò e, prendendo coraggio, fece qualche passo in direzione del vialetto, un selciato umile, accanto al quale fili d'erba ingialliti non se la passavano alla grande e due alberi di pero stavano ancora peggio.
«Ho lavorato in fabbrica una vita, operaio semplice. Semplice ma efficiente, un orologio svizzero: non c'era un premio produzione che non fosse mio. Non so se mi spiego.»
«Si spiega benissimo. Poi che successe?» chiese ancora Scappini estraendo notes e penna dalla tasca della giacca.
«Secondo lei? Dopo decenni, un bel mese il premio produzione finisce a qualcun altro. Il capo reparto mi chiama e mi fa: non prendertela, Anselmo, può capitare, ha fatto meglio di te per poco, ti rifarai il mese prossimo. Peccato che quel poco divenne presto un po' di più, sempre di più, in maniera costante. Sei mesi e i miei numeri risultarono i peggiori di tutto il reparto.»
«Continui, la prego.»
L'uomo si voltò, spostò la sedia a un metro da Scappini e gli sedette di fronte.
«Mi convocarono in direzione. Due minuti di giri di parole per dirmi quello che nessuno vuole sentirsi dire: che sei vecchio, che hai fatto il tuo tempo e che sei buono solamente per la pensione e per il parco.»
«Come reagì?»
«Salutai con rispetto e tornai a casa. Mia moglie, buonanima, mi incitò a seguire il loro consiglio. Passeremo più tempo insieme, mi disse con dolcezza. Uno si spacca la schiena per più di quarant'anni per godersi l'autunno della propria vita. È arrivato il tuo momento, mi spiegò ancora. Mia moglie la pensava così. Il suo arrivò un ventitré settembre, Maria... se la portò via un tumore al collo dell'utero, la mia Maria.»
Il vento risalì forte e fiero da dietro le colline, frustando i tralci di vite e scompigliando i capelli dell'anziano.
«Vivo solo da dodici anni e non ho ancora capito come si accetta la vista di una sedia con la polvere accostata al tavolo, oppure il suono della propria voce che rimbomba nella sala vuota. Sono vecchio e nessuno me l'ha insegnato.»
«Non ha altri parenti, amici?»
«Se le rispondessi di sì, questo la aiuterebbe a sentirsi meglio?»
Scappini voltò le pagine fino a chiudere il notes alla bell'e meglio. Lo fece con il gesto più definitivo di cui si riteneva capace; freddo, come a difendersi da un qualcosa che lo assaliva dall'interno più che dal proprio interlocutore, come a difendersi dal provare vergogna per come a volte la vita, non potendo premiarti, non trova di meglio che darti un calcio nel didietro.
«Lei non ha la faccia di uno abituato ad ascoltare storie di questo tipo» gli buttò addosso a bruciapelo il vecchio.
Ingoiò anche questo. Dopo averne viste parecchie e raccontate altrettante, Scappini realizzò di esser per certi versi ancora vergine, e che la professione che aveva sposato gli imponeva una rapida iniziazione. Una cerimonia a cui apprestarsi con urgenza, non prima di aver risposto al cellulare e a una chiamata inaspettata che lo mise in ansia. Lo cercavano dalla redazione.
«Molla il vecchio, da adesso hai di meglio da fare: chiama il cr, ti dirà tutto.»

3
La ragazza se ne era andata in grande stile, nulla da dire. Un colpo di teatro da maestri, forse solamente un tantino eccessivo per la capacità di comprensione di una vicina di casa tutta gossip, televisione e ciabatte rosa confetto.
«Si calmi, signora, per favore» non faceva che ripetere da minuti Scappini. «Mi ascolti, di dove era originaria la giovane?»
«Bari. L'orgoglio della famiglia sua, e di tutti quelli che le volevano bene. Pace all'anima sua.»
Il volto della donna era orlato dal pianto, le lacrime le avevano graffiato le guance. A occhi sbarrati fissava il vuoto, proponendo una ricostruzione dei fatti che a Scappini parve di primo acchito troppo perfetta.
«Serena aveva studiato all'università, 110 e la lode, lettere, mi sembra. Aveva insegnato per qualche tempo in Puglia, poi aveva vinto un concorso e si era trasferita qua. Era prima in graduatoria, mi aveva detto una volta. E si capisce: lei che è giornalista, doveva sentirla parlare...»
«Sarà per un'altra volta.»
«Lei è un mostro.»
«Non esageri, soltanto un cronista di nera.»
«Non vedo la differenza» notò la donna. «Che altro vuole sapere?»
«La bambina?»
«Aveva due anni» mugugnò la donna. «Un angioletto.»
«Il padre?»
«Un poco di buono. Con Serena si erano frequentati per un paio di mesi. La sera arrivava e parcheggiava lì sotto, vede?» Scappini osservò la donna affacciarsi alla finestra, e indicare il ciglio opposto della strada, accanto alla pensilina del bus. Un gesto istintivo, quasi un rituale di cui si sarebbe presto sentita la mancanza, da compiersi un'ultima volta. «Passava la notte da lei, e se ne andava sempre al mattino presto. Io lo incrociavo spesso perché fatico a prendere sonno, ed è facile che mi svegli all'alba.»
«Insonnia, come la capisco. Non me ne parli, notti intere a consumare il pavimento, vero? Dopo un paio di mesi che accadde?»
«Una volta sentii delle urla. Dovevano discutere animatamente. Lui quella sera se ne andò presto, non era nemmeno mezzanotte. Da allora non lo vidi più, né bianco né nero.»
«Come si motivò questa fuga?» domandò Scappini.
«Non me la motivai... Poi a Serena venne il pancione e tutto fu più chiaro.»
«Limpido, non trova?»
«Non avevano nulla a che spartire quei due» argomentò la donna, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano. «Conoscere quell'uomo fu una vera sciagura per Serena.»
«Continui.»
«Non riuscì a tenere la cattedra. Io aiutavo se potevo, qualche spicciolo, a volte tenevo la bimba, ma non era a sufficienza. Serena aveva bisogno di più denaro, mantenere un figlio costa.»
«Mi sta dicendo che è finita in giri strani?»
«No! Che ha capito? Serena era una persona davvero per bene! Le si dava una mano volentieri, lo facevamo tutti nel condominio. Evidentemente non era abbastanza. Sapevo che era in difficoltà, ma una cosa del genere... Chi se lo aspettava?»
«Ha mai avuto il timore che potesse fare del male alla piccola?»
«Mai. È inspiegabile, davvero. Non si poteva pensare a una madre più affettuosa. Poveri angeli, che riposino in pace. Entrambi.»
La donna singhiozzò, scoppiando nell'ennesimo pianto a dirotto. Scappini cercò di confortarla condividendo una sensazione di impotenza mista a carità umana, congedandola poi con un gesto di ringraziamento del capo.
Con il cuore in gola attraversò il corridoio in direzione della stanza da letto. La carta da parati era a fiorellini rosa e l'aria pesante, di una pesantezza dolciastra e sbagliata. In un angolo avvistò il medico legale, si stava sfilando i guanti in lattice.
«Hai un minuto, non un secondo di più» lo inchiodò il poliziotto. Aveva le forze dell'ordine dalla sua. Era il resto, tuttavia, a remare contro.
«Cosa dice, dottore?»
«Che... che vuole sapere?» balbettò il medico, abbassando gli occhiali tondi e piccoli fin sulla punta del naso.
«Quello che può dirmi.»
«Per la madre dobbiamo fare un'autopsia. Accanto al corpo, praticamente, abbiamo trovato una farmacia. C'è da capire cosa, quanto e quando l'ha ingerito.»
«Per la bambina immagino che sia più semplice.»
«Altroché. Mai vista una cosa del genere.»
«Vale a dire?» chiese chiarimenti il cronista.
Il medico si strinse nelle spalle, faticando nel trattenere i singulti.
«La piccola è morta di fame.»
«Ne è certo?»
«Potrò esserlo solamente tra qualche ora. A una prima disamina, tuttavia, pare che quel corpicino non venisse alimentato da giorni, resta da vedere quanto è durata la sua agonia. Io non le ho detto niente.»
Quando Scappini abbandonò l'appartamento, il portone d'ingresso si chiuse di scatto senza preavviso, relegando il cronista per strada, finalmente fuori da una logica fredda nell'animo e acuta nel suono, una melodia che inneggiava alla separazione, quel giorno tanto simile a una bara a due piazze.
Scelse la strada più lunga per il ritorno a casa, quella che attraversava interamente il parco, proponendo un percorso fatto di querce, passeri, qualche scoiattolo e altri animali selvatici abituati a lottare quotidianamente per sopravvivere. Forse il Creatore avrebbe fatto bene a rimettere mano all'argilla: i dettami macroeconomici e lo spirito di un'epoca capace di eleggere nostradamus asessuati a icone glamour imponevano un deciso restyling alla razza umana.
Lucilla. A quell'ora lavorava ancora. Lucilla, con il suo calore umano, d'un tratto divenne l'unica valvola di sfogo forse in grado di salvarlo dalle mareggiate di un'insensibilità che, col passare delle ore, Scappini avvertiva fare sempre più presa sul suo tenere le distanze dalla realtà. Un salvagente in grado di ricordargli come restare a galla in un mare dal peso specifico ormai maggiore del piombo.
La vide da lontano, attraverso la vetrata che dava sulla strada. Lucilla era al lavandino e stava facendo uno shampoo a una signora su di peso. Indossava il solito grembiule glicine. Scappini notò che si era tinta nuovamente i capelli, questa volta se li era fatti ramati.
Lo sguardo che si scambiarono durò pochi attimi. Ti chiamo più tardi, le fece segno. Più tardi, perché c'era tempo. E, soprattutto, ancora valori per cui valeva la pena lottare.

4
«Il tuo amico medico ha l'occhio lungo: la bambina è morta di fame, l'hanno confermato. Senti, sei il migliore che ho sui pezzi di commento, e lo sai. Quindi fammi risparmiare le smancerie: mi fai il fondo di prima pagina. Quaranta righe: mi leghi il vecchio alla maestrina. Ma affanculo i giri di parole, Scappini, ok? Niente lacrime, ti voglio chirurgico. A un altro darei venti minuti, a te so che basterà un quarto d'ora.»
La linea telefonica cadde esattamente quando Scappini se l'aspettava. Il direttore gli si era presentato smagliante, per forma e sense of humor. Pigiò il tasto di accensione del portatile e, nell'attesa che il sistema operativo si avviasse, andò in cucina per estrarre dal frigorifero una lattina di Chinotto. Una sorsata, un'occhiata al tramonto fuori dal vetro e via. Iniziò a scrivere di getto.

Franco ha da un pezzo superato la settantina, da sedici anni sta in pensione. La sua vita non è di quelle interessanti. Bar, amici pochi, ricordi troppi, parenti nessuno. Impegni da contarsi sulle dita di una mano. Tra questi, il più ambito è quello all'ufficio postale, intorno al 3 di ogni mese. Cinquecentocinquanta euro da trattare col bilancino del farmacista, quando lui per una vita intera non ha fatto altro che esplorare ogni segreto potesse nascondere un tornio. La casa è di proprietà, per fortuna. Restano fuori il gas, l'acqua, la luce, le rate dell'auto in uso alla figlia divorziata da poco, la spesa dell'alimentari. Bazzecole per alcuni, macigni per Franco. Trappole, quando gli euro nel portafoglio finiscono, lo stomaco brontola, e tu non sai – letteralmente prima che metaforicamente – che pesci pigliare. Trappole, che possono portare a nascondere un barattolo di sugo sotto la giacca. Trappole, che fanno piangere in presenza della domanda più scontata. Perché?
Alessia è giovane, bella e intelligente. Si è laureata col massimo dei voti ed è salita al nord in cerca di una cattedra fissa. In Puglia è l'orgoglio della cittadina dove è nata. Alessia al nord trova una cattedra, insegna, è brava, i ragazzi la seguono. La sera telefona a casa, ai genitori, agli amici. Una domenica annuncia di essersi fidanzata con un uomo, anch'esso originario del sud. Dura due mesi. Nove mesi più tardi nasce Giorgia. La carriera di Alessia subisce un inaspettato ma piacevole rallentamento. Giorgia cresce, pronuncia la prima parola. Mammalessia, la chiama così la piccola, è fiera di lei, ma perde la cattedra. Per un po' cerca di reinserirsi in graduatoria, ma non c'è nulla da fare. E le necessità aumentano. Il pane in qualche modo bisogna portarlo a casa, e Giorgia, pur piccina, ha fame. Alessia pulisce di giorno, rammenda la notte, ma i soldi in casa arrivano col contagocce. Così come i pannolini, le pappe, il latte. Una mattina il rubinetto si chiude, definitivamente. C'è da stringere i denti. Un'agonia inimmaginabile, che dura settantadue lunghissime ore. Il cuore di Giorgia cessa di battere nel cuore di una notte troppo fredda per essere giugno. Quello di mamma Alessia cede qualche ora dopo, cullato da un soffice letto di farmaci.
Entrambi ci hanno provato, una, due, tre volte: non ci sono riusciti. Franco e Alessia, scegliamo di chiamarli così noi, sono andati a fondo davanti ai nostri occhi distratti. E adesso, solo adesso, invasi dallo sgomento e sopraffatti dal senso di vergogna, apriamo con colpevole ritardo la porta alle domande. Coraggio Franco, ciao Alessia: con voi si eclissano i privilegi di una provincia antistoricamente ancora borghese, benefici conquistati su un campo macroeconomico che da anni non ha più ragion d'essere. Non la volontà di affrancamento sociale di un'umanità cui restano soltanto la fantasia e un pugno di sogni a tempo interinale o determinato come via di fuga. In attesa di un definitivo, forse solo virtuale, pensionamento.
Firmò e inviò tutto al giornale per posta elettronica. Finì il Chinotto in un'unica sorsata. Forse aveva ragione Lucilla. Il prossimo è come la forfora, trasforma le certezze di ieri nei dubbi di oggi. Scappini uscì sul balcone, rovistò nelle tasche e con la nicotina di una Merit cercò di mettere accuccia il bisogno di sferrare un cazzotto sul grugno di un tizio strafottente, che da dov'era assumeva le fattezze di una società obesa nella pancia, scheletrica negli arti.

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