9 gennaio 2005

Arlesiana Rossi - La vita vera della Flora e di Salvatore; perchè non si dimentichino i loro sacrifici

Premio 'Provincia crovica' prima edizione
Arlesiana Rossi - La vita vera della Flora e di Salvatore; perchè non si dimentichino i loro sacrifici

Quando ero piccola, mia nonna mi raccontava la sua vita di emigrante nell’Agro Pontino.
Lei e mio nonno abitavano a Ferrara, avevano già tre figli, ma erano poverissimi e desiderando un futuro accettabile, decisero di tentare la fortuna andando ad abitare a Pontinia in provincia di Latina, dove il duce aveva bonificato ettari di paludi infestate dalla
malaria.
Nel millenovecentoventinove-trenta tante famiglie del nord-est, specialmente venete, si trasferirono in questa zona, e nel Dicembre del millenovecentotrentaquattro furono raggiunte da tantissime famiglie di Ferrara che in quei luoghi desolati cominciarono la loro avventura sperando di costruirsi una nuova vita.
Quando arrivarono, videro questa immensa pianura con le montagne da una parte e un grande bosco dall’altra che arrivava fino al mare, con case coloniche e terreni da coltivare, ma senza soldi per comperare gli attrezzi fu durissimo, specialmente nei primi anni.
Nel millenovecentotrentadue con cinquecento case e diecimila abitanti era nata Littoria, oggi Latina; dove prima c’era la palude si erano infatti costruite case coloniche, alcune avevano la stalla al pianterreno e l’abitazione al primo piano,altre la stalla e la cucina al pianterreno e le camere da letto al primo piano. Ognuna aveva davanti l’aia dove si metteva a seccare il raccolto per poi batterlo e ricavarne le varie granaglie; ogni famiglia aveva il suo pozzo e il suo forno.
Tutte le famiglie dovevano rispondere del loro lavoro a un fattore che per i primi tempi provvedeva anche al loro sostentamento: infatti essendo la distribuzione delle terre curata dal Consorzio di Bonifica, fino a quando non si cominciavano a raccogliere i frutti del lavoro, venivano distribuiti tutte le settimane i prodotti di prima necessità.
Mia madre, che era la loro primogenita e allora aveva sette anni mi racconta spesso di un camion che portava farina bianca e gialla, pane,petrolio e candele però era tutto razionato in base ai componenti della famiglia. C’era quindi solo il minimo indispensabile e il nonno, che era un fumatore, si preparava le sigarette con le foglie di patata e di girasole perché non poteva permettersi il tabacco, dal momento che solo lui andava a lavorare nei campi. La nonna restava a casa a curare gli animali nella stalla e poi ad accudire i suoi numerosi bambini: infatti mia mamma ha sei fratelli.
I soldi che arrivavano in casa erano quindi pochissimi, perché si veniva pagati per unità, e solo mio nonno era considerato come un’unità (l’unità era la misura della forza lavoro di una famiglia: gli uomini contavano per 1, le donne per 0,80 e i bambini niente, anche se aiutavano). C’erano famiglie invece dove i ragazzi erano più grandi e lavoravano nei campi con i genitori, riuscendo ad avere un buon reddito.
Come tutte le donne di quell’epoca la nonna sapeva fare tutto, utilizzava ogni cosa possibile per fare vestitini e scarpe per tutti i bambini, ma anche per lei e il nonno. Mia mamma ricorda un cappotto che la nonna si era confezionato con una vecchia coperta che di giorno era il suo vestito e di notte veniva usato per coprire i lettini dei più piccoli.
Il nonno arava la terra con l’aratro attaccato a due mucche che i primi tempi non volevano lavorare, perché non erano mai state sottomesse al giogo e lui dovette faticare tantissimo per domarle. La terra era sterile e piena di conchiglie che tagliavano i piedi e di erbe infestanti che avevano spine di una lunghezza incredibile e che si piantavano nei piedi provocando spesso infezioni: soprattutto ai bambini, che camminavano scalzi.
La terra era stata sì bonificata, ma non era certo coltivabile... La fatica profusa non era affatto ricompensata specialmente all’inizio ed ebbero tante volte la tentazione di ritornare a Ferrara, ma a fare che cosa?
All’inizio l’aiuto del fattore e dei vicini fu determinante: infatti questi spesso chiudeva un occhio quando il nonno prendeva un po’ di frumento di nascosto per sfamare la sua numerosa famiglia e i vicini che li avevano preceduti ed erano già un po’ integrati diedero loro qualche pollo affinché anche loro potessero iniziare ad avere il loro pollaio.
La mamma ricorda il prestito di una tacchina per covare le uova regalate da un’altra vicina; un’altra famiglia regalò una coniglia con i piccoli e il nonno costruì subito una conigliera per proteggerli, perché la zona era infestata da un gran numero di cani randagi, che di notte facevano strage degli animali da cortile.
Intanto avevano costruito in paese la scuola e i bambini più grandi cominciarono a frequentarla, il nonno mandò a malincuore anche mia mamma, che, essendo la più grande, cominciava ad aiutarlo in campagna.
Quando sento i racconti dei sacrifici che fu costretta a fare, penso a tutti quei bambini che lavoravano quasi come gli adulti per mantenere la loro famiglia.
Mia mamma ricorda ancora adesso la paura che aveva di quelle mucche dalle lunghe corna, erano infatti di una razza autoctona diversa da quella che loro conoscevano a Ferrara, e non volendo lavorare con l’aratro tiravano cornate spaventose.
Poi il nonno ebbe un pò di fortuna: si mise infatti a vendere il vino e guadagnava qualche soldo in più, anche se comunque non diventò ricco.
Quando le cose stavano mettendosi al meglio scoppiò la guerra.
Mio nonno, avendo una famiglia numerosa, non fu richiamato, ma i suoi pochi averi costrinsero tutti a tirare ancora di più la cinghia. Il peggio arrivò per i coloni con lo sbarco ad Anzio degli americani, di fatto i tedechi in fuga cercavano di sopravvivere razziando le fattorie sul loro cammino con conseguenze disastrose per le famiglie residenti. Il nonno fu infatti costretto a vendere le mucche perché non fossero preda dei soldati tedeschi; lui nascondeva quello che poteva per dar da mangiare ai bambini, ma c’era ben poco.
Nascose nel pagliaio una mucca, per avere almeno un po’ di latte, ma un suo vicino fece la spia e fu costretto a dare ai soldati anche quel poco sostentamento.
Gli animali da cortile furono tutti uccisi per poterli mangiare, ma così la famiglia rimase senza uova e la carne fu in parte sprecata perché non c’era mezzo per conservarla. Il caos definitivo arrivò quando, nella speranza di arrestare l’avanzata degli americani, i tedeschi allagarono ancora le paludi rubando le macchine di pompaggio che tenevano asciutte le terre.
Molte famiglie di Anzio furono costrette a sfollare, perché i Tedeschi li obbligarono a lasciare di notte le loro case e ad andare per le strade con i pochi averi recuperati, in cerca di asilo,ad alcuni non era stato possibile prendere niente,neanche il portafoglio
Avendo la stalla vuota, nella loro grande generosità, la misero a disposizione di questi poveretti che purtroppo erano tanti; ci fu un periodo in cui ne ospitarono fino a novantasei e tanti avevano anche pochissimo da mangiare.
La provvidenza probabilmente ebbe compassione della gente dell’Agro Pontino e con l’acqua del mare arrivarono anche grandi quantità di pesce. Mia nonna mi raccontava che si pescava con tutti gli arnesi possibili e in certe fattorie dove l’acqua arrivava al primo piano, la gente pescava dalle finestre.
Gli Americani erano molto generosi e regalavano cioccolato ,caffé e anche qualche indumento,ma il regalo più grande lo ebbe la nonna: un paracadute!.
Essendo di seta lei fece mutande e sottovesti per lei e le ragazze e anche qualche camicia.
Ripensando a quei momenti io mi chiedo sempre come abbiano fatto tutte queste persone a sopravvivere, credo sia stato per il grande amore e spirito di collaborazione e altruismo che i miei nonni avevano l’uno verso l’altro e che trasmettevano a chi stava loro intorno. Infatti riuscirono a scampare alla guerra, e tante persone che loro avevano aiutato tornarono a salutarli e a ringraziarli, alcuni riportando indietro indumenti che erano stati prestati per affrontare il viaggio di ritorno verso il nord (tanti infatti furono costretti a lasciare quelle terre diventate di nuovo inospitali). Un signore rimandò loro il vestito buono, che mio nonno con il suo cuore grande aveva prestato, anche se era l’unico che aveva: era infatti quello che aveva usato per sposare la donna della sua vita, mia nonna.
La loro generosità però non finì con la fine della guerra: con loro rimase una signora vedova che non aveva nessuno, si chiamava Lisa ed era bravissima a cucire e a rammendare. Aiutò la nonna nella cura della famiglia, e anche se non subito, essendo i ragazzi un pò più grandi,piano piano arrivò un certo benessere. Un aneddoto che mi piace sempre farmi raccontare da mia mamma è quello del cinema domenicale: infatti nel primo dopoguerra a la Mezza,una piccola borgata vicino a loro,era stato aperto un cinema in un locale che negli altri giorni funzionava come mulino,tutti i ragazzi del vicinato andavano a vedere il film che si proiettava; mia mamma e i suoi fratelli, però, non avevano i soldi neanche per un solo biglietto. Allora lei partiva con una bici da uomo e un cestino di uova insieme a tutti gli altri, e arrivata in paese vendeva le uova e comprava il biglietto per il cinema.
Il bello veniva al ritorno, perché tutti l’aspettavano e dopo cena seduti attorno al camino, o alla tavola se era estate, la ascoltavano raccontare la trama del film, ma non una volta sola: se il film era particolarmente bello o commovente anche per tutte le sere della settimana, e la Lisa era quella che si commuoveva sempre. Questa donna fu una figura importante per tutti, e i nonni contraccambiarono il suo grande impegno: infatti la tennero in famiglia anche quando vendettero la piccola fattoria e ritornarono a Ferrara. Me la ricordo anch’io: noi bambini la chiamavamo NONNA LISA e la consideravamo una vera nonna.Questa è la storia dei miei nonni e chissà di quante altre famiglie, di gente semplice, analfabeta e povera, però che ha saputo insegnare l’amore, il rispetto e soprattutto l’altruismo disinteressato a tutti i propri figli, e anch’io ho potuto beneficiare di tante cose che i miei nonni avevano da dare e da dire: questi ricordi che io mi porto nel cuore con riconoscenza.

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